In occasione della recente aggressione ingiustificata della Russia ai danni dell’Ucraina, intellettuali euroasiatici russi, come anche molti analisti occidentali e la maggioranza degli intellettuali ucraini, sono convinti della tesi putiniana che nel dispotismo politico e geopolitico è più facile realizzare la vocazione storica della Russia. Gli stessi si chiedono se la sorte della erede del Unione sovietica sia destinata ad un cambio di regime, malgrado la convivenza fra sinceri democratici e compagni semifascisti.
In tale ottica, il passato della Russia non sembra dare motivi di ottimismo. Per molti secoli, infatti, la Russia è stata la monarchia più dispotica d’Europa. Appena liberata dallo zar, il popolo, seppur involontariamente e non senza lotta, si sottomise a una nuova tirannia, comunista, rispetto alla quale la Russia zarista sembrava un paradiso di libertà.
L’Occidente, con il recente scontro di civiltà in Ucraina, guarda con apprensione la messa in discussione del concetto di libertà nel senso moderno del termine, evolutosi non senza spargimento di sangue, in una società cristiana ed europea, da autocrazie ispirate a modelli asiatici violenti e statalisti che non hanno nessun rispetto per l’individuo in quanto tale; l’Oriente, infatti, non seduce né con la cultura né con l’organizzazione statale. Apparteniamo a quelle persone che desiderano ardentemente un completamento libero e pacifico della rivoluzione russa, benché pur non condividendo la dottrina del determinismo storico, ammettiamo che il percorso storico del popolo russo esibisca alcun caratteri peculiari ricorrenti.
Non è un caso che la disputa si sia manifestata in territori eredi della ‘Rus Kiev, dove l’ortodossia bizantina ha avvicinato la Rus’ moscovita, uno stato e una società di tipo essenzialmente orientale, all’Occidente.
Mosca si presenta come uno stato e una società di tipo essenzialmente orientale, che però ben presto (nel XVII secolo) inizia a cercare il riavvicinamento con l’Occidente. La nuova era – da Pietro a Lenin – rappresenta, ovviamente, il trionfo della civiltà occidentale sul territorio dell’Impero russo.
Kiev e Mosca due modelli politici storicamente antitetici
Nell’era di Kiev, la Rus’ aveva tutti i prerequisiti per una società libera e che si sarebbe volentieri relazionata con l’Europa latinizzata.
La sua Chiesa era indipendente dallo Stato, perché la Chiesa russa non era ancora nazionale, “autocefala”, ma si riconosceva come parte della Chiesa greca e lo Stato, di tipo semifeudale — diverso da quello occidentale — era altrettanto decentrato, altrettanto privo di sovranità. L’antico principe, infatti, doveva condividere il potere con i boiardi, con il seguito e con le veche, cosi ben descritto da Vovin. In merito, nella Russia nordoccidentale (Novgorod e Pskov), le riunioni veche cessarono di riunirsi dopo la conquista di queste terre da parte dello stato moscovita (rispettivamente nel 1478 e nel 1510), mentre nei territori della Russia nord-orientale, il veche fu abolito con il rafforzamento del potere principesco dopo l’invasione mongolo-tatara.
Durante tutti questi secoli, la Rus’ condusse vita comune, anche se ben presto divisa religiosamente, con le periferie orientali del mondo “latino”: Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Germania, i paesi scandinavi non sempre nemici, ma spesso alleati, parenti di principi russi, specialmente a Galich e Novgorod.
L’Oriente ha mostrato il suo volto predatore avviando il tempo del giogo mongolo che è stato un tempo in cui la Rus’ libera divenne per secoli schiava e tributaria dei mongoli, imponendo una scelta tra Occidente e Oriente (Lituania e Orda).
Il giogo tartaro di due secoli rovinò e umiliò la Rus’ settentrionale, mentre la democrazia di Novgorod occupava il territorio di più della metà della Rus’ orientale.
L’ascesa di Mosca, dovuta principalmente alla politica tartarofila e opportunista dei suoi primi principi, si estende gradualmente all’intera Rus’ orientale in due secoli. In questo periodo, gli ordini tartari vengono introdotti nell’amministrazione, nei tribunali e nella riscossione dei tributi consentendo all’elemento tartaro di impossessarsi dell’anima della Rus’ fino ai giorni nostri, con grande soddisfazione del presidente della Federazione Russa. Il benessere attirava uomini e ricchezze, oltre che i vertici ecclesiastici. I metropoliti, del popolo russo e sudditi del principe di Mosca, iniziavano a identificare il loro ministero con gli interessi della politica di Mosca, mantenendo tale approccio fino ai giorni nostri. La Rus’ diventava, così, una solida Moscovia, un territorio governato in maniera dispotica da un potere centralizzato incarnato nello zar bianco.
Il principe di Mosca era al contempo il proprietario della terra russa e il successore sia dei khan conquistatori che degli imperatori bizantini. Tutte le proprietà erano annesse allo stato tramite servizio o tassa. Fedotov avrebbe affermato «Un uomo di libera professione era un fenomeno impensabile a Mosca, a parte i ladri» aggiungendo “Ora tutti i cittadini erano obbligati allo stato da quote in natura, vivevano in un’organizzazione forzata, trasferiti da un luogo all’altro a seconda delle esigenze statali.»
L’esistenza molto turbolenta della Moskovya sviluppò una straordinaria unità di cultura, che era assente sia a Kiev, linea di demarcazione tra cristianesimo e paganesimo, che a San Pietroburgo, limes tra tradizione occidentale e bizantina, tra fede illuminata e rozza. Questa unità di cultura conferisce al tipo moscovita la sua straordinaria stabilità. In ogni caso, sopravvisse non solo a Pietro il Grande, ma anche al fiorire dell’europeismo russo nel profondo delle masse popolari.
Nel XVIII secolo persisteva la convivenza fra le due culture diverse, una rappresentava la reliquia barbarica di Bisanzio, l’altra l’avvicinamento all’europeismo. La straordinaria fioritura della cultura russa nei tempi moderni è stata possibile solo grazie all’influenza della cultura occidentale; dietro l’orientalismo di tipo moscovita, infatti, persistevano gli antichi geni della cultura del ‘Rus di Kiev e Novgorod, nonostante la narrativa del presente Putin.
Certo, la storia russa ha visto la costante e ostinata opposizione del “regno oscuro”, cioè l’antica Rus’ moscovita quando, ad esempio, la corte di Pietroburgo voleva essere uguale a Potsdam e Versailles, e lo zar di Mosca di ieri, erede dei khan e dei basilei, si sentiva un sovrano europeo. Ancora, per molto tempo, quasi fino al 1905, la nobiltà fu portatrice del liberalismo politico (contrariamente allo schema marxista, non fu la borghesia l’istigatrice della liberazione che invece era il principale sostenitore della reazione).
Paradossale, che il popolo veda nell’autocrazia la migliore difesa contro l’oppressione dei padroni, accettando l’assorbimento moscovita-tartaro della Rus’ come qualcosa di normale, aspettandosi con incomprensibile ottimismo i germogli della libertà occidentale su questo suolo.
La Russia durante l’Impero fu contagiata dall’ideale di libertà proposto dall’Occidente e iniziò a ricostruire la sua vita secondo esso, anche se il primo contatto dell’anima moscovita con la cultura occidentale nell’Ottocento è quasi sempre stato annullato dal nichilismo. Neanche la fame metafisica risvegliata con la caduta del regime sovietico, un essere primitivo che viveva del culto della macchina e di un po’ di felicità personale, ha risvegliato la volontà di libertà.
Una delle condizioni necessarie per riproporre una simile modello politico è la comunicazione personale che è ora estremamente degradata dalla disinformzione guerra. La guerra di aggressione della Russia, con la sua fine deludente, minerà innegabilmente il regime, dimostrando, con prove sul campo di battaglia, la sua debolezza militare sulla efficacia delle democrazie. Questo argomento colpisce anche altri autocrati che sono malamente consigliati da un presidente Putin che richiama palesemente Fëdor Fëdorovič (Fëd’ka) del romanzo “I demoni” di Fëdor Dostoevskij. Ma, d’altra parte, la guerra apre la possibilità di una comunicazione personale con l’Occidente per la popolazione mondiale che, malgrado tutto, anela alla libertà.