La Tunisia al collasso. O forse è già esplosa. Qui ormai si muore per un chilo di banane. E lo spettro della Primavera araba, o almeno di quello che innescò le rivolte il 17 dicembre 2010, proprio in Tunisia, aleggia sul Paese. Oggi, come nel 2010, un uomo si è dato fuoco ed è morto per protestare contro il trattamento della polizia. Da quel gesto, tredici anni fa partì la rivoluzione dei gelsomini con un effetto domino sui Paesi del Nordafrica e del Medio Oriente. Questa volta non sappiamo come andrà a finire, ma di certo la situazione è critica. La speranza è che il Fondo monetario internazionale conceda il finanziamento, pari a 1,9 miliardi di dollari, attualmente bloccato a causa delle riforme che Tunisi dovrebbe fare per ottenere questi soldi. L’alternativa è il collasso del Paese, con tutte le conseguenze del caso soprattutto per Italia e Europa. Ma ancora peggio per il Vecchio Continente sarebbe se la Tunisia accettasse di entrare a far parte del Brics, una specie di cartello economico tra Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, per sviluppare un sistema commerciale non basato sul petrodollaro, con la previsione addirittura di una moneta unica. L’ipotesi che la Tunisia possa entrare nei Brics, però, secondo alcuni analisti al momento sembra remota, anche se il presidente Kais Saied pare usi questa leva per mettere fretta (e paura) al Fondo monetario internazionale.
In Tunisia si muore per un chilo di banane: la storia di Nizar Issaoui
E mentre le istituzioni economico-finanziarie più importanti premono sulla Tunisia affinché riformi il sistema-Paese attraverso la ristrutturazione delle imprese pubbliche e la modifica strutturale di sovvenzioni e sussidi, in Tunisia si muore per il prezzo di un chilo di banane. Lo dimostra la storia del calciatore del Gafsa, il tunisino Nizar Issaoui, 35 anni, che lunedì scorso si è dato fuoco davanti alla stazione di polizia di Haffouz. Nella serata di giovedì 13 aprile è morto. Immediate le proteste a Haffouz con scontri tra polizia e manifestanti che hanno lanciato pietre e bottiglie all’indirizzo degli agenti, che a loro volta hanno risposto con gas lacrimogeni.
Issaoui pare si fosse rivolto proprio alla polizia per denunciare un commerciante che vendeva banane ad un prezzo esagerato, ma la polizia lo avrebbe accusato di aver partecipato ad un non meglio identificato atto terroristico. Il calciatore aveva anche trasmesso un video su Facebook in cui spiegava che era stato trattato male dai poliziotti quando si è recato lì per sporgere denuncia contro un agente di polizia, definito “spacciatore di banane”, che non avrebbe rispettato la tariffa ufficiale fissata dallo Stato. “Volevo attirare l’attenzione della polizia sul fatto che questo venditore non rispettava la legge, vendendo le banane 10 dinari al chilo. Ma la polizia mi ha accusato di terrorismo e mi ha collegato ad un caso con cui non ho assolutamente nulla a che fare”, ha spiegato nel video postato sui social. Contro queste accuse, dunque, il 35enne si è dato fuoco ed è morto a causa delle ustioni. Le proteste di amici e familiari hanno scatenato la rivolta nella sua città natale. Una scena già vista.
Crisi economica e migranti: paese al collasso
Dal 1 gennaio al 14 aprile di quest’anno, sono sbarcate in Italia 32.769 persone. Le prime due nazionalità dichiarate al momento dello sbarco sono Costa d’Avorio e Guinea. E questi due Paesi sono quelli da cui provengono i migranti più numerosi in Tunisia a causa di accordi che non prevedono il visto per l’entrata e che non sono più graditi. Sono all’ordine del giorno, infatti, arresti, sfratti, e violenze varie. Negli ultimi giorni, proprio a Tunisi, davanti la sede dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), si sono verificati disordini causati da circa 200 sub-sahariani, da circa un mese accampati, che hanno tentato di entrare negli edifici dell’agenzia per protestare contro le lunghe attese per essere ricollocati in Paesi terzi perché, lamentano, la Tunisia non è più un paese sicuro. E neanche economicamente promettente. Quindi tanto vale puntare all’Europa piuttosto che tornare indietro, visto che molti di questi migranti sono entrati clandestinamente e quindi hanno problemi a rientrare nei paesi d’origine. Qualcuno tenta di rifugiarsi nelle ambasciate per fuggire alla caccia da parte dei tunisini. Altri scelgono la via del mare. Mentre altri ancora restano bloccati all’interno di un Paese che sta per esplodere.