Dal campo largo al vicolo cieco. A sinistra non votano più. Perché ancor più della vittoria del centrodestra nel Lazio e in Lombardia, la notizia vera è questa. Che il vento nel nostro Paese stesse cambiando lo avevamo già capito lo scorso settembre, con le elezioni politiche che hanno portato Giorgia Meloni a Palazzo Chigi.
Ma il disinteresse per schede elettorali e matite copiative da parte dei compagni è un segnale pesante. E questo addio alle urne è un avvertimento ai vertici del partito che ormai, più che a Gramsci o a Berlinguer, strizzano l’occhio a Fedez e lasciano che a parlare di Costituzione sia il folletto Benigni sul palco di Sanremo?
O il Pd, o quel che ne resta, è veramente morto? Perché nonostante i voli pindarici del segretario uscente Enrico Letta, che twitta con la pretesa di raccontare “i fatti”, (spiegando testualmente: “I nostri candidati in Lombardia e Lazio ottengono più voti delle scorse regionali. Le nostre liste, oltre il 20%, prendono più delle politiche. Il #PD la sua parte l’ha fatta. M5S e Terzo Polo non hanno voluto coalizzarsi, dimezzano i voti e se la prendono con noi”), il tracollo c’è.
E a leggere queste parole di Letta viene da chiedersi se queste elezioni regionali 2023 le abbia capite. O se da quelle parti pensano veramente di risollevare la baracca continuando a nascondere la testa sotto la sabbia come gli struzzi, continuando a diffondere faziosamente numeri a casaccio.
Perché lo sganassone i dem lo hanno preso. Lo hanno preso eccome. E non sta tanto nella somma algebrica rivendicata da Letta, ma nella percentuale dei votanti.
Perché quei numeri che va cinguettando il segretario dem, ormai con la valigia in mano, vanno calcolati su una somma di votanti che ci racconta che un laziale e un lombardo su tre, grosso modo, non sono andati a votare. E a disertare le urne stavolta sono stati proprio quelli che a votare ci sono sempre andati. Perché che l’astensionismo abbia sempre premiato la sinistra è cosa nota. Da quella parte votavano sempre. Pioggia, neve o solleone, le truppe cammellate erano sempre pronte. Ma i cincischiamenti, le alleanze, le supponenze, le arroganze che ormai quotidianamente esprime questa parte politica pare proprio aver nauseato anche i ‘compagni’ più fedeli. Da quelle parti non c’è più la ‘falce in pugno’, da un bel pezzo, ma è rimasto solo il “bla bla bla fratelli”, per usare due espressioni del compagno Roberto Vecchioni.
E poi se Francesco Rocca nel Lazio ed Attilio Fontana in Lombardia staccano di quasi venti punti percentuali rispettivamente Alessio D’Amato e Pierfrancesco Majorino, a sinistra hanno poco da chiedersi il perché.
E anche il sali e scendi sulle navi delle Ong e le capatine in carcere dei deputati, per far poi da portavoce a quel Cospito al 41 bis, hanno fatto il resto. E pure tutte gli attacchi contro Salvini e Meloni conditi da adeguati piagnistei del guru Saviano, tanto osannato a sinistra, hanno stancato quelli che erano gli elettori dem. Anche i più duri e puri. Perché i predicozzi vanno bene, ma poi per loro, come per tutti, c’è da mettere insieme il pranzo e la cena e pure le bollette da pagare.
Certo anche il Terzo Polo ha da fare un bel mea culpa con la sua politica un po’ “strabica”.
Infatti, nel Lazio Calenda & Co hanno deciso di sostenere l’ex assessore alla Salute di Zingaretti che era in giunta finora anche con i Cinquestelle, che però correvano da soli capitanati dalla conduttrice Tv Donatella Bianchi, mentre in Lombardia schieravano in solitaria la Letizia Moratti che, nonostante il makeup frettoloso per rifarsi una “verginità terzopolista”, ancora sa assai di centrodestra. E gli elettori appunto di centrodestra tra una ‘brutta copia’, Moratti, e ‘l’originale’, Fontana, non hanno avuto esitazioni ad esprimere le preferenze al secondo. Un bel papocchio non c’è che dire.
E il povero Conte, che si era ringalluzzito alle ultime elezioni politiche e ha dovuto registrare anche lui un’emorragia di consensi in questa tornata regionale? Si potrebbe rispondere prendendo in prestito una frase lapidaria, ma che mi permetto di sottoscrivere, di Piero Sansonetti: “Conte non esiste”.
E se quelli del Pd continuano così tra poco non esisteranno più neanche loro.
Ora la patata bollente passa ai quattro dell’Apocalisse: Bonaccini, Schlein, Cuperlo e De Micheli. E tra pochi giorni sapremo chi sarà il ‘fortunato’ che dovrà rimettere insieme i cocci di un Pd alla deriva. Che le primarie eccole. Ed almeno quelle siamo certi che le vincerà uno del Pd.