Una rabbia cieca verso l’establishment politico e una paura irrazionale dell‘immigrazione. Sarebbero questi, secondo la maggior parte degli osservatori, i due fattori che più alimentano fenomeni populistici come la candidatura di Donald Trump alla Casa Bianca, al di là dell’Atlantico, e al di qua l’ampio consenso all’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea, su cui i cittadini britannici decideranno il prossimo 23 giugno. “Brexit e Trump sono parte della stessa questione”, spiega per esempio Peter D. Hart, noto sondaggista fondatore di Hart Research, sostenendo che entrambi i fenomeni si basano sul “senso di paura delle persone“.
Gli ultimi sondaggi registrano un record di consensi alla cosiddetta Brexit, attribuendo al no all’Ue un margine di vantaggio, a seconda degli istituti, da 1 fino a 19 punti percentuali. Secondo YouGov per il Times, il 46% di decisi a uscire, a fronte di un 39% di favorevoli a restare. Fondati o meno, gli argomenti allarmistici della campagna pro Ue potrebbero aver sortito l’effetto opposto. Così la pensa, per esempio, il presidente dell’Eurogruppo, e ministro delle finanze olandese Dijsselbloem: “In Olanda di referendum sull’Ue ne abbiamo avuti due, e la mia esperienza è che una cosa che sicuramente non funziona è quella di minacciare gli elettori con conseguenze terribili: non è un buon approccio”. Il 41% degli intervistati indica l’immigrazione tra i temi più importanti per la sua decisione di voto e circa la metà ritiene che il problema sarebbe gestito meglio dalla Gran Bretagna fuori dall’Ue.
Ma c’è qualcos’altro, oltre la paura? L’editorialista del New York Times Thomas B. Edsall ha cercato di indagare il meccanismo psicologico alla base del risentimento che sembra animare i sostenitori di Trump, giungendo alla conclusione che è in atto una vera e propria ribellione nei confronti delle norme del politicamente corretto – che si tratti di immigrazione e minoranze, di parità di genere, religioni, o di qualsiasi altro tema.
In molti elettori bianchi, osserva Edsall, è radicata la convinzione che il multiculturalismo imposto per legge e altri atti regolatori volti a implementare politiche di discriminazione positiva siano stati progettati “per portare gli americani alla sottomissione”, silenziando la loro opposizione, per esempio all’immigrazione legale e illegale, in forza del politicamente corretto. La rete di leggi e direttive antidiscriminatorie a livello statale, locale e federale è quindi percepita come censoria e coercitiva. E il rifiuto dei Democratici e in generale della sinistra americana di ascoltare, di concedere una qualche legittimità al malcontento dell’America bianca per la perdita di potere e status a vantaggio di minoranze e ondate di immigrati da tutto il mondo non farebbe altro che gettare benzina sul fuoco.
Per comprendere questa rivolta di ampi settori dell’opinione pubblica contro tutto ciò che suona politicamente corretto, Jonathan Haidt, professore presso la New York University, suggerisce di ricorrere al concetto di “reattanza psicologica”, descritta come “la sensazione che si prova quando delle persone cercano di impedirti di fare qualcosa che hai sempre fatto, e percepisci che non hanno alcun diritto o giustificazione per fermarti. Così raddoppi i tuoi sforzi e lo fai ancora di più, solo per dimostrare che non accetti il loro dominio. E gli uomini, in particolare, sono preoccupati di dimostrare che non accettano il dominio”. “Questa reazione – scriveva nel 1966 Jack W. Brehm, il primo a sviluppare questa teoria – è particolarmente comune quando gli individui si sentono obbligati ad adottare una particolare opinione o ad impegnarsi in un comportamento specifico. In particolare, una diminuzione percepita nella libertà accende uno stato emotivo, chiamato reattanza psicologica, che suscita comportamenti volti a ripristinare questa autonomia”.
Tradotto al fenomeno Trump, secondo Jonathan Haidt “decenni di politicamente corretto, teso a rappresentare gli uomini bianchi eterosessuali come cattivi e oppressori, ha causato un certo grado di reattanza in molti, forse nella maggior parte di loro”. Sia nei luoghi di lavoro che nel mondo accademico, Haidt sostiene che l’approccio accusatorio e vendicativo di molti attivisti per la giustizia sociale e sostenitori del multiculturalismo potrebbe in realtà aver aumentato il desiderio e la volontà di alcuni uomini bianchi di dire e fare cose non politicamente corrette. Da una ricerca di Simon Hedlin e Cass Sunstein, emerge che alcune persone respingono una politica o un’azione, anche se chiaramente nel loro vantaggio, quando si sentono spinte o costrette a prendere la decisione “giusta”.
Trump, che arriva e prende a pugni il politicamente corretto, e per questo viene sanzionato moralmente, demonizzato dai suoi avversari e dai media, rappresenta un riscatto per quanti non ne possono più di sentirsi istruiti su come “non sta bene” pensare, parlare o comportarsi, e quindi si immedesimano in lui. Non si tratta di condividere questa o quella sua proposta, o l’intero suo programma. In politica non c’è legame più difficile da spezzare dell’immedesimazione, dell’empatia, tra un leader e i suoi elettori. La dichiarazione del presidente Obama sulla strage a Orlando, in Florida, epurata da ogni riferimento alla matrice islamica dell’attacco, è il tipico esempio del politicamente corretto contro il quale si ribellano Trump e suoi sostenitori.
Tornando al di qua dell’Atlantico, sul consenso alla Brexit, e in generale sul successo dei movimenti euroscettici, non c’è solo la paura. Anche l’europeismo negli anni è diventato un tabù del politicamente corretto, tanto da suscitare repulsione viscerale in un numero sempre maggiore di cittadini europei, a prescindere dai singoli problemi. Si tratta di fantasmi, oppure è in corso da decenni una ridefinizione, da parte delle elite dominanti, di linguaggi e comportamenti, un processo di imposizione di narrazioni, agende, legislazioni, sostenute ricorrendo al politicamente corretto, sempre più spesso anche a dispetto di qualsiasi dato di realtà?
Oltre a bollare come populistici certi fenomeni, e spiegarli con la paura che farebbe perdere lucidità alle persone, dovremmo interrogarci sui danni arrecati dai professionisti del politicamente corretto e dalla pigrizia intellettuale della classe politica e del mondo mediatico.