In Libia si combatte. Gli scontri delle ultime ore a Tripoli tra fazioni legate ai due governi contrapposti, quello di unità nazionale (Gnu) con sede nella capitale e presieduto da Abdulhamid Dbeibah e quello di Fathi Bashagha con sede a Tobruk e sostenuto dal generale Khalifa Haftar, secondo i media locali ha portato 7 morti e almeno 31 feriti. Ma si continua a combattere e la situazione è preoccupante al punto che sia gli Stati Uniti che l’Unsmil, la missione Onu in Libia, hanno espresso “profonda preoccupazione” per i “nuovi violenti scontri a Tripoli”. Nonostante la richiesta di fermare le nuove ostilità, le due parti restano ferme sulle rispettive posizioni.
Nel frattempo, dalle coste libiche continuano a partite i gommoni carichi di migranti che raggiungono le nostre coste. Stamattina, 99 migranti recuperati da Open Arms sono arrivati a Messina. Ocean Viking, invece, è ancora in attesa dell’assegnazione di un porto dove sbarcarne altri 355. La notte scorsa a Lampedusa in sei diversi sbarchi sono arrivate 147 clandestini.
In totale, dal 1 gennaio al 26 agosto 2022 sono sbarcate 53.124 persone (dati Viminale).
Ma della Libia ci ricordiamo solo quando si parla di sbarchi, lasciando così che il tema venga relegato ad uno scontro ideologico tra favorevoli e contrari all’immigrazione. Come se il Paese nordafricano non fosse di nostra competenza, al punto da non entrare nemmeno nei temi della campagna elettorale. Eppure il problema dell’immigrazione clandestina torna spesso nei dibattiti della politica, ma solo per attaccare il fronte opposto e alimentare così la propaganda.
Forse perché risolvere il problema richiede coraggio e scelte politiche lungimiranti, che non sempre premiano in cabina elettorale. Della questione libica, infatti, si tende a vedere solo gli effetti senza analizzare le cause.
E adesso che a Tripoli si torna a combattere, il rischio di una guerra civile, più volte paventato da queste pagine, diventa realtà.