Turchia regina del Mediterraneo. Così la marina militare turca si prepara a realizzare il sogno di Erdogan. Ogni suo desiderio è un ordine. Potremmo tradurre così i passi compiuti in questi anni dalla Marina militare turca per realizzare il Mavi Vatan (Patria Blu), il progetto ambizioso del premier Erdogan che ha come obiettivo supremo la difesa della sovranità turca nel dominio marittimo.
La dottrina, sviluppata dall’ammiraglio Cem Gürdeniz, utilizza il principio della difesa avanzata per perseguire tre obiettivi: fare della Turchia una potenza marittima regionale, sostenere le rivendicazioni marittime di Ankara e contrastare i tentativi occidentali di imbrigliare l’autonomia turca.
Il principio di base della difesa avanzata si concentra sulla militarizzazione della politica estera turca, sulla difesa della sovranità e dell’integrità territoriale turche il più lontano possibile dai suoi confini terrestri, entrambi fattori che si basano sullo sviluppo dell’autosufficienza nell’industria della difesa turca, che sta già producendo navi militari e sistemi d’arma di qualità.
L’obiettivo principale della dottrina è rendere la Turchia una potenza marittima regionale, la quale dotandosi di moderni mezzi navali (Milgem, Type 214, Anadolu), deve acquisire le capacità necessarie a proteggere gli interessi nazionali nei mari circostanti (il Mar Nero, il Mar Egeo e il Mediterraneo orientale) e, se necessario, all’estero.
Ciò serve a rafforzare la posizione regionale della Turchia oltre che a consentirle di modellare in modo più aggressivo l’esito delle controversie regionali in modo favorevole ai propri interessi nazionali. Su un palcoscenico globale più ampio, questo potere rafforzato può fungere da deterrente per gli attori occidentali che si occupano di questioni di forte interesse per Ankara e può anche elevare l’attrattiva della Turchia come partner ad altre grandi potenze, comprese Russia e Cina con le quali da tempo ha avviato un rapporto ambivalente.
La disputa riguardante il Mar Egeo comprende una serie di questioni controverse interrelate da decenni tra Grecia e Turchia per quanto concerne la sovranità ed i diritti connessi nell’area del Mar Egeo. Questa serie di atteggiamenti ostili ha avuto un grande effetto sulle relazioni greco-turche a partire dagli anni ’70. Queste relazioni precarie tra i due paesi in ben due occasioni hanno portato a crisi che videro Atene ed Ankara prossime allo scontro armato nel 1987 e all’inizio del 1996.
La maggior parte delle questioni relative all’Egeo vertono sulla delimitazione delle zone di influenza di entrambi i paesi nell’aria e sul mare nei rispettivi territori. Questi problemi devono la loro virulenza a una peculiarità geografica del Mar Egeo e dei suoi territori.
Mentre le coste continentali della Grecia e della Turchia, che si affacciano sul Mar Egeo su entrambi i lati, rappresentano quote approssimativamente uguali della sua costa totale, il numero schiacciante delle numerose isole del Mar Egeo appartiene alla Grecia. In particolare, esiste una catena di isole greche allineate lungo la costa turca occidentale (Lesbo, Chio, Samo e Dodecaneso), in parte molto vicino alla terraferma. La loro posizione geografica impedisce alla Turchia di estendere qualsiasi delle sue zone di influenza oltre alcune miglia nautiche al largo delle sue coste.
Poiché l’ampiezza delle zone di influenza marittima e aerea, come le acque territoriali e lo spazio aereo nazionale, sono misurate dal territorio più vicino dello stato in questione, comprese le sue isole, l’eventuale estensione di tali zone andrebbe necessariamente a beneficio della Grecia molto più della Turchia proporzionalmente.
Secondo una percezione popolare di questi problemi nei due paesi, la Turchia teme che la Grecia stia cercando di estendere le sue zone di influenza a tal punto da trasformare efficacemente l’Egeo in un “lago greco”. Al contrario, la Grecia teme che la Turchia potrebbe tentare di “occupare metà del Mar Egeo”, ovvero stabilire zone di influenza turca verso il centro del Mar Egeo, oltre la catena delle isole greche periferiche, trasformandole in una specie di enclavi circondate da acque turche e quindi tagliandoli fuori dalla loro madrepatria.
Dal lato pratico negli ultimi anni il presidente Erdogan ha dato una forte spinta alla modernizzazione della Türk Deniz Kuvvetleri con la messa in cantiere di due navi LHD classe Anadolu da utilizzare, visto il veto alla vendita di F 35B, come piattaforma di lancio per mezzi a controllo remoto TB 3 Bayraktar, il quale avrà una capacità di carico utile di 280 kg, superiore rispetto all’attuale TB 2, e ali pieghevoli per risparmiare spazio sul ponte di volo, inoltre saranno imbarcate piattaforme ad ala rotante Seahawk e Super Cobra, ceduti dall’esercito, in attesa dell’Atak 2.
In aggiunta, questa classe di LHD, derivate dalla Juan Carlos I spagnola, possono ospitare al loro interno diversi mezzi blindati a supporto delle forze di proiezione dal mare a partire dal MAV Zaha fino ai carri armati Altay.
Accanto a queste unità è stato varato anche l’ampio progetto Milgem comprendente la costruzione delle corvette classe Ada, delle fregate classe Istanbul e il cacciatorpediniere TF 2000 aventi il compito di sostituire le fregate classe G, acquistate di seconda mano dagli Stati Uniti, e le Meko 200TN.
Il Progetto Nave Nazionale (MiLGEM) è stato realizzato con la visione e la determinazione della Presidenza e dal Comando delle Forze Navali al fine di sfruttare la massimo le strutture e competenze nazionali. Il progetto e l’integrazione di una piattaforma navale complessa dotata della tecnologia al passo coi tempi e puntando a standard elevati è stata realizzata per la prima volta in Turchia, a partire dalla classe Ada, grazie al supporto dell’industria nazionale.
Come soluzione transitoria tra l’arrivo delle prime moderne fregate e cacciatorpediniere e la sostituzione delle unità delle classi più anziane, le 4 unità più recenti della classe G (progetto di aggiornamento Genesis) e le Meko 200TN della seconda tranche stanno subendo aggiornamenti a mezza vita con l’installazione di lanciatori VLS MK 41 e le seconde anche di radar Smart S e suite di combattimento della Aselsan.
Inoltre, i sottomarini Type 209/1200 saranno sostituiti dai Type 214, sempre di produzione tedesca, mentre i Type 209/1400 T1 saranno modernizzati con interventi ai sistemi ottici e di navigazione in attesa di essere sostituiti, assieme ai T2, dai battelli che nasceranno dal progetto nazionale Milden (Milli Denizalti) con entrata in servizio dei primi battelli prevista nella prima metà del decennio 2030.
Il sottomarino TS1700 (MILDEN) sarà un sottomarino diesel-elettrico per il quale STM ha sviluppato al momento solo il concept. Il battello sarà azionato da un motore elettrico, due generatori diesel assistiti da un sistema di propulsione indipendente dall’aria (AIP), inoltre la piattaforma, secondo gli studi di STM, potrà immergersi fino a una profondità di oltre 300 metri. L’equipaggio sarà composto da 25+6 unità con permanenza fino a 90 giorni. Il Milden sarà dotato di otto tubi di lancio da 533mm in grado di lanciare una varietà di 16 moderni siluri pesanti in primis il Roketsan Akya e missili guidati come una versione apposita del missile Atmaca in corso di sviluppo.
Questa politica di forza e di riarmo navale deve però fare i conti con una difficile situazione economica che colpisce da anni il paese, da gennaio, infatti, la lira si è deprezzata del 22 per cento ed è soggetta a forti oscillazioni sui mercati valutari.
Il governo turco ritiene che una lira debole offra al Paese la possibilità di aumentare le proprie esportazioni e che la vicinanza della Turchia ai mercati internazionali, come l’Europa, offra un ulteriore vantaggio agli esportatori del Paese in mezzo all’aumento dei prezzi dei trasporti globali.
L’apprezzamento del dollaro nei confronti della lira è sia causa che conseguenza di tutta una serie di problemi e di politiche nell’economia turca, quali l’impennata del tasso di inflazione e il crescente disavanzo commerciale hanno causato molti altri problemi, tra cui un drammatico aumento del costo dei generi alimentari di base e dei prezzi delle case, che ha, a sua volta, indotto misure imposte dal governo, come tassi ipotecari bassi per i primi acquirenti di case del tempo e aumenti salariali aggiuntivi per i dipendenti statali. Tuttavia, una lira debole significa ancora un ulteriore deficit commerciale, poiché le importazioni della Turchia superano le sue esportazioni.
**Stefano Peverati per Laranews