Circa trent’anni fa, quando i diciotto anni coincidevano con la patente e con la chiamata alle armi, c’era chi optava per il servizio civile perché “a me d’obbedì proprio non me piace”. Poi, entrati nel mondo del lavoro, obbedire abbiamo dovuto obbedire tutti. E zitti. Ai giornalisti, agli aspiranti attori, ai cineasti se vogliamo è andata anche peggio: direttore, regista e produttore erano “cherubini” e “Dio” le imposizioni del mercato e delle mode, passeggere forse, ma certamente autoritarie. Guai a mettere in discussione i trend del momento: da seguire come dettami biblici, pena l’isolamento. Altro che Pravda! Breshnev, Andropov e Putin non avrebbero potuto fare di meglio.
Mettiamo in chiaro una cosa: quando si vive con altre persone, ci si lavora, ci si pongono obiettivi comuni e le regole da seguire ci sono sempre. Quindi, se cercate luoghi ameni di libertà assoluta e di anarchia fareste meglio a mettervi sulle tracce di Atlantide, avreste infatti maggiori probabilità di trovare la mitica città sommersa.
Cosa diversa è l’obbedienza, cieca, mascherata da libertà. Il “se non ti allinei non lavori” è indice di una profonda decadenza del mondo democratico occidentale, così attento a voler difendere la libertà altrui da non accorgersi che sta calpestando quella dei suoi stessi cittadini.
In un lustro siamo stati travolti da un’ondata di “novità” che, lungi dall’aver contribuito a migliorare le nostre vite e la nostra percezione del mondo, è stata sfruttata quale strumento politico o come moda per ottenere maggiore visibilità.
Blacks live matter, ad esempio, una tendenza (perché di più non è) nata negli Usa di Obama – era il 2013 – ma esplosa, chissà perché, durante l’amministrazione Trump.
A sentire opinionisti ed artisti nostrani, a leggere giornali e a seguire i social, il tema del razzismo degli Stati Uniti sarebbe venuto fuori durante il quadriennio del 45° Presidente Usa, quando invece è un fenomeno che esiste dai tempi della Mayflower.
I padri dei diritti civili, Martin Luther King e Malcolm X, agirono negli Stati del Sud tradizionalmente democratici e segregazionisti. E morirono quando gli Usa erano guidati dal democratico Lyndon Johnson, non certo da Trump. Questo per fare capire quanto il razzismo statunitense fosse (e sia) radicato nella società d’oltreoceano. Non solo. La discriminazione è difficilmente etichettabile politicamente: fra i più autorevoli sostenitori della segregazione vi è stato George Wallace, tre volte governatore dell’Alabama, passato alla storia per il comizio tenuto di fronte all’Università dell’Alabama contro l’accesso di studenti neri. Democratico…
In Italia qualcuno ha provato a sfruttare BLM per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema dei migranti, quasi che i casi (isolati) di intolleranza che si registrano in Italia siano lontanamente paragonabili a quelli subiti, dal 1863 (anno dell’abolizione della schiavitù) ad oggi da generazioni di afro-americani che, è doveroso ricordarlo, erano e sono cittadini liberi di uno Stato che li trattava (e li tratta) come cittadini semi-liberi e di serie B.
In nome di una parità fondata sulla cultura, sulla conoscenza reciproca e sull’integrazione, siamo poi giunti a giustificare la depravazione della cancel culture contro ogni simbolo, nome, riferimento a personaggi ed epoche legati allo sfruttamento dei neri e di altre minoranze. Come se prendere a martellate serva a cancellare la memoria: anzi, rimuovere il passato contribuisce solo ad esporsi al rischio di ricommettere, un domani, i medesimi passi falsi e gli stessi errori.
Ma è sulle tematiche della parità di genere, dell’ecologismo e dei diritti LGBTQ+ che politica, media ed arte italiane hanno dato il meglio di sé. Non un’apertura al femminismo vero, quello che parla di uguaglianza e di complementarietà, semmai a quello piazzaiolo e strillone di una minoranza degli ambienti femministi (cosiddetto femminismo radicale) che non cerca la parità fra uomo e donna, ma l’annichilimento del maschio colpevole in quanto tale.
“Il femminismo non è l’odio verso gli uomini, anche se negli anni Settanta, c’era un femminismo radicale che voleva sostituire il patriarcato con il matriarcato. Qualsiasi società in cui i rapporti tra i generi siano sbilanciati a favore degli uni o degli altri, è una società sbagliata, manchevole e destinata al fallimento” (Arianna Farinelli, LaRepubblica.it, 2 giugno 2022)
In occasione della giornata contro la violenza sulle donne, il 25 novembre 2020, sono circolate dichiarazioni e titoli da pelle d’oca: “Il femminicidio è insito nella natura maschile” o “la gelosia non uccide, gli uomini sì”.
Spingendo così l’opinione pubblica ad una percezione quasi sacrale della Donna e ad una mistificazione completa dell’Uomo.
Pensateci bene: frasi come quelle sopra, se rivolte ad una “lei” avrebbero scatenato l’inferno in terra; rivolte ai “lui” sono passate in sordina.
Bullismo, maschilismo, razzismo, fascismo: questi gli idoli di una informazione e di un mondo dello spettacolo completamente scollati dalla realtà.
Il bullismo lo abbiamo subito in tanti, in tempi non sospetti e fra l’indifferenza di una società che non amava mettere in mostra le proprie debolezze. E nessuno che abbia subito una discriminazione si è mai sognato di mettere una etichetta su quella forma discriminatoria: il bullo, per intenderci, non è per forza un maschio ed un fascista, può essere altresì una donna nei confronti dei suoi sottoposti che maschera comportamenti deviati e palesemente sbagliati con frasi fatte e buonismo spiaccicati sul profilo Facebook.
Ma etichettare è un modo di vivere più semplice: perché sforzarsi a capire le ragioni altrui, perché provare a conoscere una persona ed a cogliere il suo valore quando puoi liquidarla con una etichetta?
Qualche giorno fa una nota cantante italiana si è scagliata contro un’ambiente politico che, a suo dire, vorrebbe privare le donne del diritto all’aborto. Una etichetta, appunto, perché ascoltando le dichiarazioni provenienti da parte del mondo politico più conservatore non si è mai discusso di abolire la legge 194, che resta un diritto della donna. Ma la strada per la popolarità passa anche per la bugia, per la manipolazione e per il processo alle intenzioni. Ed il novello Comitato di Salute Pubblica condanna sulla base di un’idea e di un sospetto, nella convinzione che un’ala della Società, l’ala giusta, non sbagli mai. “Putin d’occidente”.