Il conflitto in Ucraina dura ormai da quattro mesi nel corso dei quali ha sostituito il Covid come main theme dell’informazione. Purtroppo il modus operandi della comunicazione italiana è rimasto lo stesso della pandemia. Anzi, mutuando un termine dal linguaggio militare, si potrebbe parlare di psyops (psychological operations), “l’insieme di prodotti e/o azioni che condizionano o rafforzano attitudini, opinioni ed emozioni di specifici target quali governi di Paesi stranieri, organizzazioni, etc”, se vogliamo ricorrere ad una definizione più tecnica.
Ma se nelle operazioni internazionali hanno il fine, benefico, di avvicinare la popolazione locale alle forze occidentali, di imparare a scoprire quali sono i loro diritti (specie nel caso delle donne e delle minoranze etniche) e a non cedere ai timori e alla propaganda di gruppi armati e alle milizie del terrore, le psyops dei media occidentali (ed italiani) condizionano l’opinione pubblica dei rispettivi paesi in modo assolutamente nocivo. D’altronde, come fidarsi di un conduttore che toglie la parola all’ospite russo o al giornalista non allineato? Oppure, come considerare attendibili notizie che arrivano da una sola parte? Si può, soprattutto quando si è consapevoli dello scarso interesse di buona parte della popolazione per la politica estera, rafforzata dalla già poca conoscenza per la storia italiana ed estera e per l’abitudine a misurare e ad analizzare il mondo secondo l’ottica occidentale.
In otto anni di conflitto in Donbass, mai si è cercato di ricostruire le cause che hanno condotto allo scontro tra “filo-russi” e governo di Kiev, evitando altresì di esaminare gli eventuali errori, sul campo ed in politica, della parte ucraina. La Russia, dal canto suo, è stata presentata come autoritarismo, una sorta di Unione Sovietica 2.0, guidata da un ex agente del KGB a metà, nella narrazione giornalistica, fra la vecchia educazione comunista e velleità etichettate come “fasciste”.
Ora, fascista è un termine che entra a pieno titolo nelle “psyops civili” della stampa. A livello storico il fascismo è scomparso nel 1943 e già quello della Repubblica di Salò è “neo-fascismo”, così come le esperienze politiche del dopoguerra, sia parlamentari che extra parlamentari, o quelle terroristiche della sanguinosa parentesi della strategia della tensione.
Vero anche che il “fascismo” del dopoguerra si è molto allontanato dalle posizioni originarie: il MSI era atlantista e vicino ad Israele; Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale strizzavano l’occhio al nazismo tedesco, i NAR un gruppo terroristico formato da adolescenti dal grilletto facile e molto poco preparati in materia politica.
Ad oggi “fascismo” è genericamente affibbiato: un prepotente, un amante dell’ordine o semplicemente una persona che si lamenta degli immigrati irregolari, del degrado e della criminalità è un fascista. Anche chi è contro l’aborto è un fascista così come, presumibilmente, “fascisti” sono quelle anime della sinistra non apertamente schierate con il sostegno alla causa ucraina e statunitense.
Ed a fronte di un popolo che legge poco e che si informa ancora meno, è facile veicolare concetti, anche errati. O spostare l’attenzione su argomenti più… ameni?
Secondo l’Istat, nel 2020 a leggere almeno un libro all’anno è il 41% della popolazione, dai 6 anni in sù
A sfondare sono invece i social network in particolare Instagram e Tik Tok diventati, per molti, vero trampolino di lancio verso popolarità e soldi. Una grande illusione per i più che, tuttavia, spinge buona parte della gente (dai 13 ai 50 anni) verso le sponde del conformismo. Basti pensare alla bandiera ucraina esposta, oltreché sui balconi, sui profili digitali: ciò che il mercato impone, la persona segue. E siccome il mercato è legato a doppio filo alla comunicazione (network e social), fermarsi a riflettere sulle cause e sugli sviluppi del conflitto è contro producente. Punto primo, perché impone studio, ricerca, analisi capacità che non tutti hanno grazie anche ad una società che sembra esortare più all’adeguarsi che non a plasmare carattere e raziocinio. Punto secondo, perché la parola d’ordine è avere ragione: nessuno ascolta, nessuno si confronta, nessuno confuta tesi poiché sa solo quello che gli è dato sapere e preferisce tacciare gli altri di ignoranza che mettersi in discussione.
Il condizionamento dell’opinione pubblica riflette inoltre ogni ambito sociale ed istituzionale. Di fronte ad una convinzione sedimentata, nessuno solleva dubbi.
A conferma di ciò potrebbero essere le frequenti proteste di imprenditori, negozianti, privati per l’aumento delle bollette energetiche e dei carburanti, tendenza ormai in corso da settembre 2021. Ci saremmo dunque aspettati un popolo in piazza contro le sanzioni (che si aggiungono alle precedenti del 2014) che ci impoveriscono e invece neanche un’anima.
I social sono esplosi quando eravamo pronti a vendere moderne fregate all’Egitto, poiché si trattava – secondo i filosofi dei social – di armare un governo che nulla ha fatto per gettar luce sul caso Regeni. Oggi con l’Egitto dialoghiamo, speranzosi di sopperire alla perdita del gas russo con il gas egiziano; quanto alle armi le cediamo, gratis, all’Ucraina.
Esprimiamo sostegno incondizionato a Kiev contro l’autoritarismo russo, ma tessiamo rapporti commerciali con l’Egitto (democrazia decisamente a metà), con la Turchia che incarcera i giornalisti, con l’Arabia Saudita che punisce la blasfemia con la lapidazione, con la Cina regime totalitario comunista, con gli Stati del Golfo Persico dove la prostituzione è tollerata e garantita dall’arrivo, costante, di schiave sessuali dall’Ucraina e dalla Moldova, ma anche dove una ragazza che denuncia uno stupro è passibile d’arresto per violazione delle leggi sul buoncostume. Ricordatevelo al prossimo video dell’influencer che gioca a fare la star a Dubai.
Dalla scuola al posto di lavoro ci sentiamo ripetere frasi sull’importanza della cultura, della formazione, della conoscenza reciproca. Balle. La cultura è una responsabilità ed un’arma a doppio taglio: non puoi sempre guardare dall’altra parte, alle volte sei costretto a schierarti. E schierarsi costa…
L’alternativa è abbracciare la “cultura cartonata” di una società che si dichiara libera ma che in realtà è in balia dei trend da social e di un’informazione scorretta. In altre parole, ignoranza. Ignoranza che si sceglie deliberatamente perché, ricordava Montanelli nel lontano 2000, “la servitù, in molti casi, non è una violenza dei padroni, ma una tentazione dei servi”.
Touché.