Nel V libro della Guerra del Peloponneso, dedicato al lungo conflitto che oppose Sparta ad Atene alla fine del V secolo, Tucidide racconta che gli Ateniesi, i quali dominavano i mari con la loro flotta. Posero, nel 416 a.C., un ultimatum agli abitanti dell’isola di Melo, nelle Cicladi: assoggettarsi al loro dominio o perire.
I Melii erano coloni spartani, ma avrebbero preferito rimanere neutrali. Gli Ateniesi non potevano tollerare che un’isola indipendente interrompesse la continuità e indebolisse la reputazione della loro egemonia marittima.
Lo storico Tucidide presenta come antefatto il dialogo che gli ateniesi e gli ambasciatori dei melii avrebbero avuto per discutere un accordo. La difesa dei melii e del loro diritto alla neutralità si fonda su criteri di giustizia condivisa, che comprendono il riconoscimento reciproco di autonomia tra le pòleis; gli ateniesi oppongono invece ragioni strategiche, ma soprattutto negano il valore di qualunque regola o patto che non tenga conto della disparità di forze.
Nel discorso fra Melii e Ateniesi emerge chiaramente il timore di questi ultimi di dimostrare debolezza davanti ai loro sudditi che“hanno le loro ragioni a ribellarsi e lo faranno se ci pensano deboli”.
Il rifiuto dei Melii dà luogo a una punizione esemplare, uno degli episodi più tragici della guerra: la distruzione della città, l’uccisione di tutti gli uomini e la deportazione come schiavi di donne e bambini.
Nella narrazione di Tucidide, l’episodio segnala il prevalere di unalogica di guerra nei rapporti tra greci: l’affermazione del diritto del più forte su qualunque criterio di giustizia, equità, accordo.
Ragioni strategiche e principi di giustizia sono spesso in conflittonella politica internazionale. L’analisi strategica degli ateniesi che giustifica l’esigenza di ottenere sottomissione e non amicizia dai melii richiama drammaticamente le recenti vicende relative all’aggressione russa dell’Ucraina.
Il dialogo di Tucidide rivela un’irriducibile divergenza tra gli ateniesi e i melii molto simili alle diversità di principi sostenute da russi e ucraini.
L’Ucraina infatti, usando il linguaggio dell’utile (sympheron)intendono sostenere, il giusto (dikaion), affermando laconvenienza del diritto comune e dell’accordo reciproco. I russi,invece, come nei dialoghi tucididei, ritengono che “li danneggia di più la loro amicizia, che non l’ostilità aperta: quella, infatti, agli occhi dei nostri sudditi, sarebbe prova manifesta di debolezza, mentre il vostro odio sarebbe testimonianza della nostra potenza”.
In altri termini, nella visione realista di Tucidide e dei russi, ha senso parlare di giusto solo se i rapporti di forza fra le parti sono tali che nessuna delle due può prevalere sull’altra, e se si assume il punto di vista del sympheron, non è “utile” parlare di giusto, perché basta la forza a risolvere i conflitti.
Le democrazie occidentali, che mirano all’interesse (sympheron) comune sono corrette (orthai), secondo ciò che è giusto in assoluto (kata to haplos dikaion), non intendono piegarsi ad una visione realista russa, ispirata alle atrocità che la storia ci ha riproposto nei secoli e che nega apertamente il logos e sosterranno un Paese aggredito nei termini del diritto internazionale.