Negli ultimi giorni si è molto parlato di una patologia inabilitante che affliggerebbe il presidente russo, Vladimir Putin, che avrebbe portato all’esasperazione la smania di potere e di espansionismo simil-sovietico azzerando il consenso che molti avevano palesato nei suoi confronti negli ultimi anni. È apparso in un video accanto al ministro Sergey Shoigu contratto e affaticato: il presidente Vladimir Putin è malato, lo hanno visto tutti. La postura irrigidita, il modo di tenere saldamente le mani sui braccioli della poltrona, il tremolio hanno risollevato i dubbi sulle condizioni di salute sullo Zar.
Una malattia fisica la cui cura potrebbe aver causato degli scompensi mentali i quali, a loro volta, sarebbero la causa della decisione criminale di intervenire militarmente in Ucraina scatenando una guerra che solo l’astrazione mentale dello Zar insiste a chiamare “operazione speciale”. Una destabilizzazione completa nell’ambito dei rapporti “amichevoli” tra stati europei e paesi dell’est, con l’aggravane di un pesante coinvolgimento della NATO in chiave di allerta dall’uso da parte russa di ordigni nucleari tattici.
Sia il volto, sia le mani evidentemente gonfi di Putin, sia il fatto che in occasione degli ultimi incontri e riunioni si è posizionato sempre molto distante dai suoi interlocutori, tendono ad avvalorare questa ipotesi. Un dubbio riportato da diverse fonti e legato a possibili gravi patologie, dal cancro al morbo di Parkinson, se non più “semplicemente” a una forma di demenza senile che affliggerebbero Putin.
L’immagine dello Zar, negli ultimi tempi, è assai offuscata da evidenti segni di decadimento fisico e, sotto l’aspetto psicologico, anche a quello “prettamente decisionale”, con iniziative al limite dell’umana ragione.
La spietatezza mostrata dai militari di Mosca nei confronti della popolazione civile ucraina è stata pienamente giustificata da Putin, che anzi ha premiato gli autori dei massacri indiscriminati con onoreficenze “al merito”.
Ma le mosse azzardate del Presidente russo non sono certo le ultime nella storia dei dittatori che si sono alternati sul palco della storia. Altri personaggi di alto calibro sono noti non solo per il loro peso nella storia, ma anche per le sintomatologie da cui erano afflitti che, probabilmente, hanno influito sulle loro decisioni deleterie per l’umanità.
Proviamo a proporre una breve rassegna di alcuni di loro.
Mao Tse-Tung
Si spegne il 9 settembre 1976 all’età di 82 anni. È stato una delle più importanti figure della storia moderna del secolo scorso. Era ricoverato presso l’ospedale 202 di Pechino il presidente del Partito Comunista e fondatore della Repubblica Popolare Cinese, ma non non è riuscito a superare una fortissima crisi respiratoria. Il funzionamento dei suoi polmoni era stato seriamente compromesso dal fumo, ma le condizioni di salute di Mao Tse-Tung, come ha raccontato il suo medico personale Li Zhisui, si erano ancor più aggravate a causa di una malattia neuro-motoria praticamente sconosciuta nell’universo cinese: la Sla (sclerosi laterale amiotrofica) i cui sintomi si erano manifestati da almeno cinque anni. Dalle ricerche condotte in merito è emerso che un contributo all’insorgere della malattia sia arrivato dato dalla dieta che Mao Tse-Tung seguiva, una dieta occidentale ad alto tasso proteico a base principalmente di carne, niente riso e poche verdure. Esattamente il contrario dell’alimentazione tipica del suo popolo.
Joseph Stalin
Joseph Stalin ha avuto un’infanzia drammatica e severa, segnata dalla violenza del padre alcolista che maltrattava con violenza sia lui che la madre.
All’età di nove anni viene mandato in collegio dalla madre che non vuole tenerlo con sé , a causa dell’atteggiamento violento del padre. E spera in un destino migliore per il figlio. Il giovane cresce con tratti paranoici e sadici, con punte di narcisismo e nell’incapacità di entrare in empatia con le persone che lo circondando e che lo stimano, oltre all’elaborazione del culto che si crea intorno alla sua personalità una volta diventato dittatore. Si avvale dell’uso sistematico della diffidenza e del sospetto quasi “maniacale” verso chi lo circonda.
A lungo Stalin ha sofferto di dolori alle gambe e negli anni più avanzati, è stato visto spesso zoppicare leggermente. Alcuni attribuiscono questo fatto alle sue dita palmate: il 2° e il 3° dito del piede sinistro di Stalin erano attaccati. Si trattava non di una malattia, ma di una malformazione congenita, e questa sindattilia non era la ragione della zoppia di Stalin. Era l’artrite reumatoide la vera causa: Stalin soffriva di infiammazione (e probabilmente anche di deformazione) alle articolazioni di entrambe le gambe. Doveva indossare stivali militari appositamente realizzati in pelle super morbida, i cosiddetti “stivali coi buchi”. Erano detti così, a quanto pare, perché erano così comodi che Stalin raramente se li toglieva, finché le suole non si bucavano. Quando stava immobile, i dolori reumatoidi peggioravano, quindi durante le lunghe riunioni non poteva star seduto fisso in un posto e camminava per l’ufficio.
Vladimir Vinogradov (1882-1964), che fu il medico curante di Stalin negli anni Quaranta, riteneva che l’insonnia e l’ipertensione arteriosa fossero i problemi più acuti del leader. Dopo il ritorno dalla Conferenza di Potsdam (dal 17 luglio al 2 agosto 1945), dove si svolsero stressanti negoziati sugli assetti del dopoguerra, le condizioni di Stalin peggiorarono. Lamentava mal di testa, vertigini e nausea. Si verificò poi un episodio di forte dolore nell’area del cuore e la sensazione che il torace fosse “stretto con una fascia di ferro”. Molto probabilmente fu a causa di un piccolo infarto. Ma Stalin non accettava alcun programma di riposo.
Tra il 10 e il 15 ottobre 1945 Stalin ebbe un ictus. Tuttavia, non portò a un’emorragia cerebrale e si verificò solo un blocco di un piccolo vaso cerebrale. Ma per due mesi, dopo questo malore, si rifiutò di parlare con chiunque al di fuori della sua cerchia più ristretta, anche al telefono, e trascorse il tempo nella sua dacia. Ipertensione, vertigini, problemi respiratori: sono tutti sintomi dell’aterosclerosi, una condizione in cui l’interno di un’arteria si restringe, a causa dell’accumulo di placca ateromatosa. Aleksandr Mjasnikov (1899-1965), medico curante di Stalin negli ultimi anni della sua vita, era presente durante l’autopsia di Stalin, e riferì di “grave sclerosi delle arterie cerebrali”. Questa malattia rese gli ultimi anni di Stalin atroci.
Adolf Hitler
Delicato di salute, con un’intelligenza superiore alla media, ma di tipo assimilativo, Hitler non primeggiò mai nella scuola. Si dice che fosse refrattario all’umorismo. Secondo la testimonianza di Albert Speer, suo unico amico, non si ricordano situazioni particolari nelle quali il Führer ridesse. Infatti non amava dare la vita, ma la morte. Sembra che in lui trionfassero quelle che Freud chiamava, appunto, “pulsioni di morte”. Rivolte dapprima verso l’interno e tendenti all’autodistruzione, queste verrebbero successivamente dirette verso l’esterno, manifestandosi sotto forma di pulsione di aggressione o di distruzione. Personaggio senza precedenti né successori, la sua storia e il suo operato hanno terrorizzato e allo stesso tempo incuriosito molte persone. Adolf Hitler fu anche, dopo Jack Lo Squartatore, uno dei primi personaggi per i quali fu richiesto un profilo psicologico. Nel 1943, infatti, William Joseph Donovan, capo dei servizi segreti degli Stati Uniti, si rivolse ad uno psichiatra, Henry A.Murray, per stilare un profilo del dittatore nemico.
Quest’ultimo raccolse tutto ciò che trovò, come memorie di chi aveva avuto a che fare con il Fuhrer, disertori, fuggitivi, tra cui uno psicoanalista ed un dottore specializzato in malattie mentali. Secondo Murray, l’ex imbianchino non avrebbe avuto lunga vita, ed elencò una serie di ipotesi sul suo destino: sarebbe potuto essere assassinato, morire in battaglia o per cause naturali, venire catturato. Ma l’ipotesi più probabile era una sola: quella del suicidio. Qui Murray andò oltre, e gli avvenimenti gli avrebbero dato ragione: affermò che un narcisismo dominante come quello che abitava la mente di Hitler, difficilmente gli avrebbe permesso di farsi uccidere per mano dei suoi nemici, piuttosto avrebbe fatto da sé, scegliendo una modalità teatrale per uscire di scena.
Secondo questo rapporto, la vena sadica di Hitler deriverebbe da un’infanzia segnata dalle feroci percosse ricevute da parte del padre. Questo aspetto verrà poi ridimensionato da molti, in quanto alla fine dell’ottocento le punizioni corporali erano all’ordine del giorno nell’educazione dei figli. Vi è in questo frangente la constatazione della presenza del cosiddetto “Complesso di Edipo”: moltissimi studiosi ritengono, infatti, che, partendo dai sentimenti di affetto morboso che provava per la madre, Hitler avesse individuato nel padre un nemico da combattere e da abbattere. Murray aggiunse altri dettagli, affermando che il soggetto era un masochista passivo con tendenze omosessuali represse, probabilmente impotente. Si analizza, poi, il rapporto di Hitler con le donne, con la sconvolgente evidenza di quante, dopo averlo frequentato, si siano suicidate.
Questo primo dossier sulla personalità di Hitler viene considerato dagli esperti di oggi abbastanza approssimativo, essendosi le teorie sulla personalità evolute molto, oltre al fatto che Murray lo realizzò, come abbiamo detto, utilizzando informazioni di “seconda mano”. Un’informazione ancora più interessante proviene da un documento risalente al 1918, quando il Fuhrer venne ricoverato all’Ospedale Militare di Pasewalk, dopo essere sopravvissuto ad un attacco con il gas (anche se va detto e sottolineato che Hitler non fu mai in prima linea sul campo di battaglia). Qui si riporta che all’uomo venne diagnosticata un’isteria e una cecità non organica (ossia una perdita della vista causata da un disagio psicologico, senza riscontri effettivi della malattia), oggi denominata disturbo dissociativo o di conversione. Con questo meccanismo, la mente somatizzerebbe la pressione psicologica nel tentativo di proteggere l’individuo dallo stress. Quando questo disturbo colpisce gli uomini, molte volte si scopre alla base un disturbo antisociale della personalità.
E non risulta strano che questo documento sia sparito e che tutte le persone implicate nella diagnosi e nel trattamento di Hitler “scomparirono” o si “suicidarono”, con una misteriosa ma provata implicazione delle SS. Pochi anni fa, poi, la BBC ha realizzato un documentario dal titolo “Inside the mind of Adolf Hitler”, in cui si è offerta una prospettiva più moderna di questa analisi. Fu Jerrold Post, professore di psicologia ed esperto nello studio di menti dittatoriali, ad occuparsene. Secondo questo documentario il problema principale di Hitler si rifarebbe a quello che oggi viene denominato il “Complesso dei Messia”. Con questo disturbo (non riconsciuto ufficilamente nel Manuale Diagnostico DSM-IV), il soggetto è convinto che la sua missione sia quella di salvare il mondo (anche se a volte lo distruggerebbe, assumendo il ruolo di “Messia Combattente” e non del Messia che si sacrifica per l’umanità). Secondo gli specialisti, questa credenza delirante potrebbe provenire dal fatto che la maggioranza dei fratelli di Hitler morirono quando lui era piccolo. Così, per combattere il dolore della perdita, Hitler pensò di essere sopravvissuto per una ragione speciale: salvare la Germania e quindi il mondo intero.
Lasciando da parte i profili che, come si può notare, prendono in considerazione moltissime ipotesi, possiamo stabilire con certezza una cosa: Adolf Hitler era lucido e sapeva bene ciò che stava facendo, e possedeva una mente integra per metterlo in atto, oltre ad aver trovato terreno fertile con la situazione politica della sua epoca.
Oggi, il suo, lo definiremmo un disturbo della personalità: una persona incapace di provare empatia e sentimenti autentici, esclusivamente concentrato sui propri bisogni, sulle proprie fantasie di assoluto successo e suprema grandezza. Una persona manipolatrice per eccellenza, incapace di amare.
Benito Mussolini
Fu affetto da una malattia ciclotimica per cui alternava stati di euforia e depressione. Era affetto anche da disturbi acuti da stress dei quali dette chiara manifestazione nei giorni della caduta e dell’arresto, alla fine dell’aprile 1945. Il dittatore fascista aveva un comportamento ipomaniacale, legato a doppio filo al suo desiderio sessuale sfrenato. Inoltre, aveva anche un disturbo ossessivo compulsivo che dice molto sui suoi atteggiamenti rispetto al mondo e alla mentalità militare, ai concetti di ordine e rigore, e che tocco’ il suo apice con la guerra in Etiopia, ma anche nelle decisioni strategiche legate alla sua alleanza con la Germania hitleriana e con l’approvazione delle Leggi razziali del 1938 che segnarono l’inizio della sua perdita di consensi.
E’ quanto ipotizza il professor Pierluigi Baima Bollone, autore del primo studio scientifico sulla mente del duce, confluito nel libro ”La psicologia di Mussolini” (pagine 266, euro 17).
In questo volume, che segue ”Le ultime ore di Mussolini” (edito nel 2005 sempre da Mondadori), il dittatore viene “visitato in contumacia” da Baima Bollone, professore ordinario di medicina legale all’Universita’ di Torino, attraverso il ricorso a una vasta documentazione storica che aiuta a ricostruire tutti gli indizi necessari alla diagnosi (discorsi, corrispondenza, scritti privati e testimonianze).
’Il filo rosso che aiuta a ricostruire un periodo storico particolare – spiega Paolo Cacace a Adnkronos – è proprio la presenza, di cui finora si sapeva solo a grandi linee, di una brutta ulcera duodenale che causò non pochi problemi a Mussolini’’. L’uomo, che in quegli anni si mostrava forte e ‘macho’ dal balcone di Palazzo Venezia, in realtà, rivela il giornalista, ”vomitava sangue, aveva collassi e svenimenti.
Kim Jong-un
Sempre più magro. Il network statale Kctv ha infatti trasmesso il documentario voluto dal governo che risalta la lotta del leader supremo per rilanciare il disastroso stato dell’economia, fiaccata da anni di sanzioni e dalle misure draconiane per scongiurare la pandemia del Covid. Ma mostra anche un dittatore sempre più affaticato e segnato dalla forte perdita di peso.
I malesseri ricorrenti potrebbero essere il segnale di qualche grave problema di salute che affliggerebbe il dittatore nordcoreano e che lo spingerebbero a decisioni azzardate sia nella politica interna che in quella estera. Gli esperti si continuano a chiedere se Kim sia dimagrito volutamente, con una dieta ferrea proprio per mostrarsi vicino alla povera gente ridotta alla fame, o se sia malato. Oppure se abbia deciso di perdere diverse taglie perché non si piaceva più obeso.
La linea del Leader Supremo non è solo una questione da gossip: la sua stazza eccessiva, se legata a patologie, può avere un impatto sulla stabilità del regime.
I servizi segreti di Seul hanno valutato che nel dicembre del 2011, quando raccolse l’eredità del padre Kim Jong-il morto improvvisamente per un ictus (come il nonno e fondatore della dinastia Kim Il Sung), il giovane dittatore pesava 90 chili. Già obeso per un uomo alto 170 centimetri con i tacchi. Nel giro di un paio d’anni arrivò a 140 chili. Probabilmente presi a causa di uno stile di vita poco sano e dalla passione per i superalcolici. Il rapporto indicava tra le cause anche lo stress che lo avrebbe reso bulimico. La Cia crede che soffra di gotta e ipertensione. Nell’aprile del 2018, quando incontrò il presidente sudcoreano, Moon Jae-in a Panmunjom, aveva il fiatone dopo solo pochi passi compiuti per varcare il 38° Parallelo: emozione o cronica difficoltà di respirazione?
In quell’occasione era così impacciato nei movimenti che per indossare un paio di guanti cerimoniali bianchi si fece aiutare dalla sorella. Fuma anche troppo, e nell’ultima immagine del 5 giugno ha sempre la sigaretta tra le dita.