Le persone sono eccessivamente innamorate della tecnologia a cui vogliono improvvidamente affidare anche responsabilità etiche, che non sono delegabili. Questa pericolosa tendenza si è affermata anche per quei fenomeni sociali e politici correlati alla guerra.
Bouthoul evidenziava, nel suo Cent Millions de morts, l’illusione di poter prevenire eventuali conflitti bellici utilizzando complessi sistemi giuridici e basava le sue conclusioni sulla credenza kantiana del carattere esclusivamente cosciente e volontario dei conflitti.
I russi nella recente aggressione dell’Ucraina, hanno dimostrato di non essere in grado di sincronizzare nemmeno i tre domini basilari nei quali si sviluppano le operazioni militari: quelli terrestre, aereo e marittimo. Paradossalmente, una sedicente potenza mondiale non è riuscita nemmeno a far cooperare, a livello tattico, le forze destinate al supporto aereo con le truppe a terra o, peggio le unità carri con la fanteria.
Ancora più disperato e primitivo lo sviluppo delle attività a livello operativo, dove maggiore è stata la presunzione che la tecnologia avrebbe cambiato i parametri fondamentali della manovra nei confronti dell’avversario: massa, velocità e sorpresa.
Abbiamo così verificato, se mai ce ne fosse stato il bisogno, che la guerra non la fanno le armi, ma gli uomini. Le armi migliori del mondo non servono a nulla se il soldato che deve usarle, un coscritto non addestrato, comandato da ufficiali corrotti e per nulla motivato, le abbandona al nemico.
La disastrosa condotta delle operazioni indica chiaramente gravi carenze a livello strategico che sottolineano altrettante carenze nei fattori critici per vincere le guerre. La guerra, infatti, è una forma di violenza essenzialmente metodica e organizzata riguardo ai fini dei gruppi che vi partecipano e ai modi da essi utilizzati. Un fenomeno essenzialmente collettivo che comprende un elemento soggettivo, l‘intenzione, e un elemento politico, l’organizzazione. La guerra, inoltre, è limitata nel tempo, poiché richiede ingenti risorse materiali e finanziarie.
Dunque, l’armonico rapporto fra fini, modi e mezzi dovrebbe condurre alla vittoria ma tutte le guerre, siano esse quelle descritte da Polibio o le future guerre spaziali, dipendono ancora molto dalla psicologia e dalle capacità cognitive umane.
Risulta evidente che la impostazione sovietica delle forze russe, si è basato sul rispetto ossequioso di certi rigidi canoni di scientificità rifiutando l’approccio delle democrazie, basato sulla comprensione di cosa sia l’essere umano nella sua essenzialità, evitando rigorosamente il mondo dell’intersoggettività che, notoriamente, ha bisogno di un vissuto etico e responsabile.
Sotto il profilo politico e delle relazioni internazionali, quindi, siamo in presenza di uno scontro tra due sistemi valoriali diversi che i russi hanno voluto condurre preventivamente nel dominio informativo. Le guerre, infatti, vengono combattute tra esperienza, istruzioni, culture, resistenze, personalità e paure diverse.
La tecnologia non vince le guerre, le persone sì! Non dimentichiamo che il destino di Napoleone fu segnato dal generale francese Bourmont, da Cluet, un ufficiale degli ingegneri, e un terzo ufficiale di grado inferiore.
Sotto il profilo militare, assistiamo all’introduzione di sistemi d’arma per imporre intenti, volontà e decisioni sui leader avversari; dalla fine della Guerra Fredda si è andata consolidando l’opinione che le guerre le possano vincere le armi da sole, relegando gli umani a un ruolo secondario. Tuttavia, l’utilizzo di materiali o di tecniche di impiego più sofisticate e in domini nuovi quali quello cyber e spaziale, non cambia i parametri fondamentali dell’arte militare, ovvero la combinazione creativa di massa, velocità e sorpresa e, considerando le precarie capacità di sincronizzazione operativa dei russi, immagino le sorprese che la tecnologia avrebbe riservato alla comunità internazionale.