Le vicende geopolitiche europee hanno visto la guida e la funzione stabilizzatrice dell’asse franco-tedesco. Parigi e Berlino hanno peraltro garantito la mediazione fra i singoli interessi nazionali aggregati tra il blocco dei Paesi del Nord (Olanda, Austria, Danimarca, Svezia tra tutti) e quello dei Paesi del Sud (come Italia, Spagna, Portogallo e Grecia) e proseguito il processo di integrazione dei Paesi del gruppo di Visegrad che hanno posizioni e allineamenti controversi. In entrambi gli schieramenti si sono osservate contrapposte visioni e, progressivamente, polarizzazioni politiche di chi pensa ci sia bisogno di un’Unione Europea più vicina, stabile e attiva, poiché reputa necessaria una risposta multilaterale alle sfide attuali globali, e chi, invece, manifesta un sentimento antieuropeista.
Nasceva cosi l’idea di una balcanizzazione europea sfruttata dai mainstream di sinistra per contrastare presunte derive autoritarie attribuite a populisti che, abbiamo scoperto, erano presenti in maniera trasversale in tutto l’arco politico europeo.
Ad una analisi più approfondita emergeva che la polarizzazione politica era stata agevolata dall’ingerenza nelle nostre opinioni pubbliche da potenze il cui fine ultimo era, almeno inizialmente, geoeconomico e geostrategico.
D’altronde, l’Unione Europea è stata costruita sulla pace oltre che su una serie di valori che ne costituiscono una solida base: indubbiamente un pericoloso modello di riferimento per i popoli ancora assoggettati a regimi autocratici.
In particolare, le libertà individuali e collettive e la solidarietà europea hanno consentito di affrontare la crisi economica e recentemente la crisi pandemica ma, soprattutto, agevolato in breve tempo i suoi successivi allargamenti. Per questo, l’Unione Europea è diventata un irresistibile polo di attrazione per i popoli orientali di Georgia, Moldavia ed Ucraina e non è un caso che la crisi ucraina sia un punto nodale per l’affermazione geopolitica europea.
La crisi ucraina del 2014, malgrado potesse rappresentare un punto di svolta, non aveva consentito di sfatare il mito politico della possibilità dei singoli Membri dell’UE di affermarsi facendo affidamento solo sulle forze del proprio Paese; l’UE, purtroppo, non riusciva ad acquisire la consapevolezza della necessità di operare una sintesi capace di racchiudere al proprio interno la vera volontà dell’Unione e sottovalutava la determinazione russa a contrastare il nostro sistema valoriale.
Così facendo, la insipienza geopolitica europea lasciava troppo margine ad altri attori – come Cina e Russia – che, sfidando il modello occidentale, espandevano il proprio raggio di influenza, saccheggiavano le nostre risorse strategiche e condizionavano le nostre politiche energetiche.
Paradossalmente, osserviamo con l’invasione dell’Ucraina il manifestarsi di un fenomeno emergente che ha visto aumentare la coesione politica europea, ora minacciata direttamente dal suo ingombrante e forse sprovveduto vicino geografico, allontanando la sua tanto evocata balcanizzazione.
Nella convinzione che la geopolitica condizionerà sempre di più l’economia che però rimane interconnessa a livello mondiale, gli Stati Uniti, ormai da tempo, hanno lanciato un nuovo concetto, quello di smart power, che rappresenta una nuova visione del mondo. Il potere dell’intelligenza significa essere consapevoli che l’unilateralismo non è sempre il metodo giusto e che gli equilibri di potenza non si raggiungono solo con la forza. Se, dunque, gli Stati Uniti di Barack Obama progredivano da hard power a smart power, perché l’Europa non può fare altrimenti, convergendo su posizioni simili e evolvendo da softpower a smart power?
Un approccio simile ha un riscontro nei libri storici della Bibbia: Samuele, in particolare, dove la scelta di chi avrebbe sfidato Golia è rimasta emblematica.