Le recenti plateali azioni russe non ci colgono di sorpresa dopo l’esperienza ucraina vissuta nel 2014, dopo la più grande azione repressiva nei confronti di giornalisti e dissidenti politici dall’era sovietica e, soprattutto, considerando l’immancabile facilità di movimento a livello mondiale dei flussi di capitali.
Anche se con minor dispendio di risorse finanziarie (la crisi economica e sociale affligge il Paese da più di un decennio), la politica estera della Federazione russa riprende la dottrina Breznev, anche se in passato aveva visto schieramenti di truppe maggiori (le unità principali che effettuarono l’invasione della Cecoslovacchia erano le formazioni corazzate e meccanizzate del Gruppo di forze sovietiche in Germania che penetrarono in Cecoslovacchia dalla Sassonia) che poi si riversarono a Praga nell’agosto 1968 interrompendo, anche allora, una pericolosa stagione di riforme che intendevano mettere in discussione l’autoritarismo di stampo asiatico.
Agli accorati appelli dei rappresentanti del dissenso russo, che si sono fatte sentire anche oggi, come anche alle profezie del Colonello-Generale Leonid Ivashov che ha affermato che un attacco all’Ucraina “chiamerà in causa l’esistenza stessa come stato della Russia”, possiamo rispondere che non rinunceremo ai nostri valori democratici e che, malgrado le apparenze, devono aver pazienza perché siamo dalla loro parte.
La Guerra fredda, infatti, ci ha insegnato a controllare l’istinto e contenerne l’aggressività attraverso il pensiero che si estrinseca, solitamente, attraverso un’interazione sociale, se non più civile, almeno più mediata. La Guerra fredda si combatteva, infatti, con le armi della politica, dell’economia, dello sviluppo e della propaganda, pur curando attentamente le proprie capacità di difesa.
Infatti, ancora oggi, il fascino delle democrazie occidentali, che si contrappongono agli autoritarismi violenti cinesi, iraniani e russi, si basa sul principio che vede una limitazione nell’utilizzo della forza per reprimere il dissenso e per affermare le proprie ragioni nelle relazioni internazionali.
I paesi democratici, ora come allora, si limiteranno a proteste verbali e sanzioni economiche, poiché una sfida militare nell’Europa centrale aprirebbe scenari di guerra atomica. Dopo l’occupazione è verosimile un’ondata di emigrazione, (in Cecoslovacchia fu stimata in 70.000 persone che raggiunsero un totale di 300.000 in totale), che interesserebbe soprattutto cittadini di elevata qualifica professionale, verso i Paesi democratici, sottraendo ulteriore capitale umano ad un’economia russa asfittica e alle prese con un rigido inverno demografico.
Conosciamo l’esito finale della Primavera di Praga che avviò, in venti anni, il declino delle dittature comuniste orientali ma che, soprattutto, passò simbolicamente il suo nome ad un analogo periodo di liberalizzazione della politica autoritaria comunista noto come Primavera di Pechino.
“La Cia stima fino a 800 vittime nella Primavera di Pechino, i bilanci immediati della Croce Rossa almeno 3mila, mentre Amnesty International ritiene si possa parlare di almeno 1300 morti” dichiara la rivista The Vision; non è un caso che il governo impedisca con ogni mezzo che si ricordi cosa è accaduto nella Repubblica popolare cinese tra l’aprile e il giugno del 1989. Eppure nel gigantesco monolite del dragone ci furono molti, anche tra i militari e i politici, che saranno ricordati per aver saputo dire no ad un governo autoritario.
Nelle parole di Beethoven alla notizia dell’incoronazione dell’imperatore: “Anch’egli non è altro che un uomo comune. Ora calpesterà tutti i diritti dell’uomo e asseconderà solo la sua ambizione; si collocherà più in alto di tutti gli altri, diventerà un tiranno!”.
Se volessimo fare un parallelo fra l’Apokolokyntosis e il futuro viaggio nell’aldilà dello zar, potremmo immaginar “l’anima del mondo a cavallo”, il riferimento è alla terza sinfonia, condannato a giocare a dadi con un barattolino forato, come l’imperatore Claudio; a strapparlo dalla pena sarebbe l’oligarca Oleg Deripaska che lo reclama come proprio schiavo. Come umiliazione finale, lo zar sarebbe affidato agli oligarchi Boris Berezovskye e Mikhail Khodorkovsky.