A Brescia in mostra Badiucao, artista dissidente e conosciuto come il Banksy cinese.
L’arte è espressione di libertà e consente di reinterpretare il male non come oggetto di imitazione, bensì solo di narrazione sia nello stile che nei contenuti avvicinandoci alla verità e, per questo, è censurata.
Nel mondo post moderno orwelliano assistiamo all’affermazione di una nuova e insormontabile verità: non esistono più verità ma solo punti di vista. Questo nichilismo della verità cancella qualsiasi certezza ed è quasi una apologia alla menzogna.
Nel 1642, i soggetti della scena “La cacciata dei progenitori dall’Eden” di Masaccio furono censurati nei Musei Capitolini, fino al 1988, con la realizzazione di un drappeggio di fogliame che ne copriva le nudità. La Maja Desnuda di Francisco Goya scampò miracolosamente all’inquisizione spagnola, ma non venne mai esposta fino ai primi anni del Novecento. Nel 2016 e sempre ai musei capitolini, statue di nudi sono state coperte “in forma di rispetto alla cultura e alla sensibilità” del presidente iraniano, Hassan Rohani, diventando un caso politico e, secondo il Codacons, motivo di una indagine interna i cui risultati non furono mai resi noti.
Non è un caso che Badiucao, artista dissidente e conosciuto come il Banksy cinese, è in mostra in Italia, al Museo di Santa Giulia a Brescia. Badiucao, proprio per il suo impegno politico, vive attualmente in Australia, secondo ArteMagazine, e combatte “contro ogni forma di controllo ideologico e morale esercitato dal potere politico, a favore della trasmissione di una memoria storica non plagiata.”
Molto interessante, e particolarmente indigesta alle autorità cinesi, la seconda sezione, intitolata ad “Hong Kong”, dove l’autore racconta la storia politica recente della ex colonia britannica che nel 1997 è diventata regione amministrativa speciale della Repubblica Popolare Cinese e in particolare si sofferma sull’ondata di proteste accesasi nel 2019 a seguito di una proposta di legge che prevedeva l’estradizione nella Cina continentale degli accusati di reati punibili con più di sette anni di detenzione. Badiucao ha partecipato attivamente, anche se da oltreoceano, alle proteste, diffondendo immagini e slogan, come il dissacrante Ritratto di Carrie – Carrie Lam, capo esecutivo di Hong Kong – o il Lennon Wall Flag composto da 96 quadrati colorati a evocazione dei post-it appesi dai cittadini sui muri della città con messaggi di dissenso.
Nella sezione intitolata “Uiguria”, si legge sul sito del museo che “è raccolta l’omonima serie di manifesti realizzati da Badiucao per denunciare la situazione di sfruttamento e di genocidio culturale“, come è stato definito da più parti, dell’etnia uigura dello Xinjiang”.
Infine, nell’ultima sezione, “Mao Nostalgia”, l’artista ironizza sul fenomeno di manipolazione e strumentalizzazione del mito costruito attorno alla figura di Mao: immagini satiriche, stampate come dei santini e della dimensione del libretto rosso, fungono per Badiucao da strumenti del ricordo per non cedere alla rimozione della Storia e ai suoi esiti disastrosi.
Questa mostra, stigmatizzata dalla incursione diplomatica cinese, è particolarmente illuminante se analizzata nel più ampio contesto politico mondiale, in cui si assiste ad una vera e propria corsa per acquisire maggiore soft power da parte di Paesi che propongono, in maniera incoerente, valori che non trovano riscontro nelle rispettive società; gli stessi, infatti, manifestano una interpretazione distorta del concetto di public diplomacy e di cultural diplomacy, se non addirittura una espressione neo-realista della militarizzazione del soft power.
Parmenide indicava l’alètheia, nel suo poema “Sulla natura”, come la via della verità che era insegnata al filosofo da Dike, dea della giustizia; questa via si contrappone ad un’altra via, quella delle false opinioni e dell’ignoranza.
Per questo, siamo grati a Badiucao per aver lacerato il velo di Maya, svelando la vera natura dei governi autoritari e invitandoci ad arrivare all’essenza ultima delle cose: Taiwan subirà la svolta autoritaria di Hong Kong?