Se Patrick Zaki, in carcere in Egitto da 600 giorni, non sta bene, Andrea Costantino, in cella da otto mesi ad Abu Dhabi, non sta meglio.
Ma se la vicenda dell’attivista egiziano, che studiava nel nostro Paese a Bologna, arrestato all’aeroporto de Il Cairo ha suscitato mobilitazioni della società civile che strizza l’occhio a sinistra e della politica italiana sempre da quella parte là e titoli di giornale un giorno sì e l’altro pure, sul dramma che sta vivendo l‘imprenditore italiano c’è un silenzio quasi totale. Pochissimi i media che si sono occupati della sua storia. E nessuna risposta concreta ancora dalle Istituzioni. Giusto, giustissimo occuparsi della condizione carceraria di Zaki. Dopo il doloroso precedente di Giulio Regeni chiedere la scarcerazione di questo ragazzo di 27 anni, detenuto in un Paese dove la violazione dei diritti umani è all’ordine del giorno, è un atto doveroso. Ma altrettanto giusto e doveroso è dissipare la coltre di silenzio che avvolge la vicenda di Andrea Costantino detenuto negli Emirati Arabi, che non sono esattamente la Svezia.
A tentare di squarciare questo silenzio ancora una volta la compagna che lotta per poter conoscere almeno il motivo della sua detenzione. Perché Costantino, trader milanese del petrolio, è in carcere da otto mesi negli Emirati Arabi senza alcun capo di imputazione. Così, prelevato dall’albergo dove alloggiava con la compagna e la figlioletta di quattro anni e sbattuto in cella senza un vero perché. Ed era il 21 marzo. Appunto, quasi otto mesi fa.
“Ha perso 25 chili, dorme e mangia a terra: è un film dell’orrore. Il mio Andrea, padre della mia bambina, è un prigioniero politico. È stato sequestrato, non arrestato”, così Stefania Giudice all’Adnkonos.
“Andrea era la persona giusta al momento giusto per fare pressioni sul governo italiano sull’embargo che deve essere sbloccato. Embargo di tutti i prodotti della Difesa, dalle bombe ai pezzi di ricambio della pattuglia acrobatica emiratina Al Fursan. Andrea sta pagando colpe molto più grosse di lui e ora si sente abbandonato dalle Istituzioni, dal proprio Paese”, va giù decisa la compagna dell’imprenditore, mentre sottolinea che “effettivamente la Farnesina non fa che dirmi che sta lavorando, mentre la situazione è identica a quella del giorno successivo all’arresto in hotel. Il padre di mia figlia è in cella in un Paese straniero senza accuse, senza possibilità di difesa e senza poter vedere nessuno, nonostante mi dicano che sono mesi che si prodigano per la situazione”.
Una sorta di rappresaglia contro l’Italia perché gli sceicchi sono arrabbiati con il nostro Paese per l’embargo sulle armi, attuato con una risoluzione del gennaio scorso, voluta dai Cinque Stelle, proprio all’ultimo giro di orologio del governo Conte.
Una vendetta che si sarebbe abbattuta, anche se decisamente in forma più lieve, anche sull’aereo che accompagnava i giornalisti italiani alla cerimonia di chiusura della missione italiana in Afghanistan, quando gli Emirati Arabi negarono il sorvolo del loro Paese.
Ma intanto sulla vicenda drammatica di Andrea Costantino le Istituzioni, da quanto denuncia la compagna, continuano a fare orecchie da mercante. Lettere inviate al capo dello Stato ed al premier che sarebbero rimaste senza risposta.
E i giornaloni e i politici di sinistra, sempre tanto solerti a rivendicare diritti umani per questo e per quello, graniticamente muti. Neanche un tweet.
Perché ci sono diritti umani e diritti umani, si capisce. Le variabili sono determinate di volta in volta da chi ne deve beneficiare e dal Paese in cui vengono negati. È notizia di questi giorni, infatti, la situazione drammatica in carcere in Cina dell’attivista e reporter Zhan Zhang, che ebbe la “sfrontatezza” di indagare sulla diffusione del Covid e proprio a Wuhan. Indagini che per il regime comunista di Pechino fanno quattro anni di galera. Fine del discorso. Detenzione che Zhang ha iniziato a contestare lo scorso giugno iniziando lo sciopero della fame. E ora le sue condizioni di salute sono disperate. Ma non si leggono per lei appelli indignati da i nostri politici inginocchiatori seriali. Macché, nessuno disposto a sbucciarsi le ginocchia per i diritti umani se a negarli è la Cina. I compagni gialli e rossi di casa nostra muti. Tra cani non si mozzicano, si sa. E neanche tra comunisti.
E la grave, gravissima colpa dell’imprenditore milanese, Andrea Costantino, sembra essere quella di essere italiano. Perché il nostro è un Paese strano, dove ci si inginocchia per quanto accade oltre oceano, dove si armano piazze per dare la cittadinanza italiana a chi non la ha, come nel caso di Patrick Zaki, e poi ci si dimentica di un imprenditore italiano in carcere ad Abu Dhabi, in cella a marcire da otto mesi senza nemmeno un perché.
O forse il perché c’è ed è un perché assai più grande di lui. “Un prigioniero politico”, dice la compagna dell’imprenditore. E allora che la politica se ne occupi. E in fretta. Non ci sono scuse per attendere oltre. Andrea Costantino la cittadinanza italiana già ce l’ha.