Oggi il premier della Norvegia, Erna Solberg, commemora le vittime della strage di Utoya nel decennale della loro scomparsa. Il sangue freddo dimostrato 10 anni fa non cambia, Anders Behring Breivik nel carcere di Skien si appassiona a cinema e letteratura senza provare alcun rimorso.
Il 22 luglio 2011 Breivik si rese autore di una carneficina, provocando la morte di 77 persone, quasi tutti di giovane età.
Oggi 42enne, il neonazista all’epoca dei fatti venne ritenuto sano di mente al processo svoltosi nell’agosto 2012 e, pertanto, condannato a 21 anni di carcere.
Non avendo mai mostrato segni di pentimento per i crimini commessi, Breivik si esibì nel saluto nazista di fronte alla Corte giudicante chiedendo “perdono ai militanti nazionaisocialisti per non aver ucciso più persone”.
Gli attentati del 22 luglio 2011
Alle 15.25 l’esplosione dell’autobomba parcheggiata nel quartiere Regjeringskvartaletm dove hanno sede edifici governativi, nel centro di Oslo, provocò la morte di 8 persone e il ferimento di altre 209.
L’esplosivo utilizzato da Breivik per la composizione dell’ordigno risultò essere l’Anfo, acronimo inglese di Ammonium Nitrate Fuel Oil, utilizzato dai terroristi palestinesi e precedentemente impiegato dai militanti dell’ETA, poiché facilmente reperibile al mercato nero e con costi accessibili.
Meno di due ore dopo Breivik riuscì ad accedere all’isola di Utoya, nel Tyrifjorden, dove era in corso un campus giovanile organizzato dalla sezione giovanile del Partito Laburista Norvegese.
Vestito con un’insolita uniforme e munito di documenti falsi, aprì improvvisamente il fuoco con armi automatiche uccidendo 69 ragazzi e ferendone 110.
Dalla fine del Secondo conflitto mondiale la Norvegia non aveva mai assistito a scene di crimini violenti come quelle viste nel luglio 2011.
A seguito dei tragici fatti di Utoya, Peter Frolich, responsabile per il partito conservatore per le questioni di giustizia in Parlamento, annunciò nel 2018 il bando delle armi automatiche, un’iniziativa già prospettata nel 2017, dal governo di destra in carica.
Chi è l’autore
Aage Borchgrevink, giornalista, scrittore e autore di “A Norwegian Tragedy: Anders Behring Breivik and the Massacre at Utoya”, aiuta a scoprire sia nel libro che nell’intervista rilasciata all’Huffpost, la chiave di lettura di questo controverso personaggio.
“Nella società norvegese c’è meno consenso di quanto ci si potrebbe aspettare sul significato di quegli attacchi – spiega Borchgrevink – Studiosi del Centro di ricerca sull’estremismo dell’Università di Oslo hanno distinto tra tre principali narrative o modi di leggere gli attacchi: 1) come un attentato alla democrazia norvegese in quanto tale; 2) come un attacco alla sinistra politica, con relative critiche alla Norvegia per non essere riuscita a contrastare l’estremismo di destra pur di mantenere la pace politica; 3) come un atto per niente politico, ma il gesto di un pazzo spinto all’estremo da politiche di immigrazione lassiste. Tra queste narrazioni sembra esserci una tensione crescente, soprattutto perché quelle ai fianchi (la 2 e la 3) portano una forte carica emotiva. La tensione riflette in una certa misura i profondi disaccordi che continuano ad attraversare la nostra società, dove una minoranza non trascurabile è ancora d’accordo con le idee xenofobe che hanno ispirato Breivik, mentre una generazione più giovane di progressisti vuole un approccio più duro all’estremismo”.
L’ “outsider radicale”: un profilo
Secondo i rapporti del team di psicologi incaricati di disegnare un suo profilo, Breivik si dimostra pronto a tutto pur di ottenere visibilità e attenzione. Il padre andò via da casa quando era ancora piccolo, mentre la madre era affetta da disturbi psicologici mentre il suo rapporto con le donne è risultato assai turbato.
Breivik appare affetto da “disturbo narcisistico della personalità”, che trova conferma anche oggi, con la decisione di cambiare il suo nome in Fjotulf Hansen, stravagante combinazione tra il cognome norvegese più comune e uno dei nomi propri più rari.
Dopo essersi iscritto nel 2015 all’Università di Oslo per seguire un corso di Scienze Politiche dalla sua cella, avrebbe proposto, a vari editori e produttori, la produzione di un libro o di un film sulla sua vita dietro il pagamento dei diritti, valutati per un ammontare di otto milioni di dollari circa.
Le perizie contraddittorie
Nell’aprile 2012 lo stesso Breivik si definiva sano di mente, come spiegò anche nell’invio di una lettera di 38 pagine al giornale norvegese Verdens Gang. L’imputato si diceva consapevole e convinto dei gesti compiuti, aggiungendo che avrebbe preferito “morire in carcere rispetto all’internamento in un manicomio”.
Di fatto, la perizia presentata contraddiceva quella del precedente mese di novembre nella quale due psichiatri, a seguito di colloqui con Breivik, erano arrivati alla conclusione che il militante neonazista 32enne non sarebbe stato responsabile dei fatti compiuti perché affetto da una schizofrenia paranoide.
Scatenando la reazione dell’opinione pubblica, quest’ultima tesi, in caso di un’accettazione del Tribunale, avrebbe fatto sì che Breivik sarebbe stato sollevato dalle responsabilità penali connesse al suo gesto.
I dubbi in merito ad una pianificazione così attenta ed elaborata di una strage simile, da parte di una persona considerata “malata” lasciavano ampie perplessità e questo fu motivo di richiesta per una seconda perizia.
La nuova valutazione nell’aprile 2012, eseguita dagli psichiatri Terje Toerrissen e Agnar Aspaas su richiesta del giudice, contraddì i risultati della prima, confermando l’assenza totale di patologie psicotiche.
L’emulazione imperversa anche oggi
Breivik rappresenta a tutti gli effetti un’ispirazione per i suprematisti bianchi di tutto il mondo.
Proprio 3 settimane fa a Milano, è stata scoperta un’organizzazione neonazista composta da ventenni che aveva come nome in codice “Breivik”. Ultimo episodio di una lunga serie.
Borchgrevink, biografo dello stragista, invita a non trascurare gli effetti che la “perversione” derivante dal male e dall’odio possano esercitare sulle personalità più alienate.
“Molti giovani vorrebbero mandare al diavolo la società. So di averlo fatto anch’io. Per alcuni, però, l’incontro con l’estremismo online o in gruppi può svilupparsi in un percorso di radicalizzazione, arrivando persino a trasformarli in terroristi qui in Europa o in posti come la Siria, come è successo con molti giovani europei alcuni anni fa. I più vulnerabili sono i cosiddetti outsider, coloro che per motivi sociali, psicologici o di altro tipo sono o si sentono esclusi dalla società”.
***by Jasmine Racca