“Ogni malato neurologico può godere si di un ricovero ma soltanto se presenta una patologia acuta, quindi per intenderci, solo se ha bisogno di cure del pronto soccorso e successivamente di reparto. Se questo paziente soffre di una patologia cronica degenerativa come Parkinson, Huntington, Sclerosi multipla e così via e deve fare aggiustamenti terapeutici non può godere di un normale ricovero in neurologia perché reputato inappropriato da un sistema realizzato da contrazioni miopi di spesa, senza considerare che, dietro l’angolo, c’è sempre la caduta che per vari motivi stupidi di risparmio di pochi centesimi, rischia un esborso di migliaia di euro per tutte le conseguenze che arrivano fino al decesso”. A parlare il professor Pietro Marano, neurologo e direttore del raggruppamento neurologia e riabilitazione della Nuova Casa di Cura D’Anna di Palermo .
Le malattie neurodegenerative sono molte, hanno una qualche caratteristica comune?
Si sono molte e sono un grande capitolo della neurologia che purtroppo affligge sempre di più la popolazione mondiale e sempre più giovane. Rimane comunque una domanda alla quale non rispondere senza difficoltà. Una buona responsabilità è da attribuire ai fattori ambientali, ma anche quelli genetici non sono da meno. Certamente la caratteristica è quella del lento e progressivo andamento, controllabile ma progressivo.
E’ vero che alcune malattie neurodegenerative possono essere caratterizzate da disturbi del movimento? Mi può fare un esempio?
Sicuramente si, abbiamo forma ipocinetiche e forme ipercinetiche. Forme cioè caratterizzate da riduzione del movimento e forme caratterizzate da riduzione del movimento e forme da velocizzazione del movimento. Nelle prime il capofila è la malattia del Parkinson, nelle seconde la Corea di Huntington, in mezzo vi è una giungla di movimenti involontari patologici che si concludono in forme di distorsione del tronco, degli arti e così via. Io dico sempre una frase, l’ammalato è prigioniero del suo disordine motorio, non riesce a liberarsene e in seguito a ciò disordina ancor più il proprio movimento.
Esiste una prevenzione?
No, ma siamo in grado di identificare i sintomi sentinella. Nel Parkinson possiamo identificare con 10 anni di anticipo i sintomi non motori che però spesso sono insidiosi facendoci talvolta sbagliare diagnosi e comunque non possiamo intraprendere alcuna terapia farmacologica finchè non si presentano i sintomi cardine come diminuzione dell’olfatto, comportamenti ossessivo compulsivi, fenomeni notturni legati alla fase rem e così via. Nell’Huntington invece possiamo agire per via genetica, facendo cioè, un’attenta indagine a carico dei familiari diretti dell’ammalato, così a prevenire eventuali procreazioni a rischio.
Mi faccia dei numeri, in Italia quante persone ci sono affette dal Parkinson per esempio?
I dati del 2007 contano in Italia circa 200 mila casi. L’età media di insorgenza della malattia è di 62,6 anni ma nel 10% dei casi si manifesta prima dei 50. Il tasso di incidenza varia tra gli 8 e i 18 casi su 100.000 all’anno.
C’è la giusta assistenza in Italia per questi malati?
Assolutamente no. In questo momento viviamo in una vergognosa differenza regionale dei sistemi sanitari che, pur dipendendo da un unico sistema sanitario, risente delle varie legislazioni locali. Motivo per cui, ad esempio, un ammalato che gode di riservati servizi a Pordenone non può godere dei medesimi a Lampedusa.”
Vale quindi anche per un eventuale riabilitazione?
Assolutamente si, anche questa è consentita a fasce di pochi eletti in poche regioni d’Italia dove è consentita. Tutto ciò non è degno di un Paese che si fa chiamare civile. Ma così anche per la chirurgia funzionale ormai proibita al centro-sud che per ignoranti politiche di contrazione di spesa, riducono le regioni a spendere molto di più per trasportare fuori i pazienti.
Secondo lei l’Italia a che posto si classifica per la ricerca di queste malattie? Abbiamo qualcosa da invidiare all’Europa e al mondo?
L’Italia si pone secondo me ai vertici della ricerca mondiale. O meglio sono gli italiani a stare ai vertici mondiali. L’Italia non investe quanto dovrebbe nella ricerca, per questo molti giovani vanno all’estero. In Italia sarebbe opportuno guardarci seriamente allo specchio e interrogarci a lungo. Ieri i nostri nonni emigravano con la valigia legata allo spago, oggi i nostri figli fanno esperienza lontano dal nostro Paese partendo con il throlley. Dei nostri nonni molti non sono tornati più, vogliamo questo anche per i nostri figli?