“Prevenire le malattie neurodegenerative è uno dei più grandi obiettivi della ricerca mondiale. Quello che temo è il rischio che le conquiste della ricerca possano non raggiungere il nostro Paese con la stessa rapidità di altri”. Ofcs Report ha parlato con Ferdinando Squitieri, direttore scientifico della Lirh, fondazione che nasce con l’obiettivo di sostenere la ricerca sull’ Huntington e di altre malattie correlate. Malattie come il Parkinson e la Corea di Huntington fanno parte di patologie degenerative del cervello per le quali la ricerca, ogni giorno, spende tempo e denaro nella speranza di trovare una cura permanente. C’è il rischio che i numeri di malati cresca e porti a un pericolo in più per le generazioni future. L’Huntington, in particolare, è una malattia genetica progressiva, trasmessa da un genitore affetto a un figlio, con un rischio del 50%, capace di provocare danni cerebrali ad aree chiave per il controllo dei movimenti, il comportamento e il ragionamento. Solitamente questa si manifesta in età adulta, nonostante possa presentarsi in anticipo rispetto a quanto successo nel genitore affetto. Parliamo di patologie che fino a non molto tempo fa erano poco conosciute e poco diffuse, ma che negli anni hanno cominciato a presentarsi in alcune trame di film. Basti pensare al personaggio di Tredici che nella serie americana Dottor House, perde la madre malata di Huntington e non vuole fare il test per vedere se anche lei ne è portatrice.
Professor Squitieri, esiste una prevenzione nelle malattie neurodegenerative?
Oggi non siamo ancora in grado di prevenire la malattia ma riusciremo a farlo. Prevenire è uno dei più grandi obiettivi della ricerca mondiale. La malattia di Huntington rappresenta per questo un importante modello di studio. E’ per questo che è disponibile un test genetico che consente di riconoscere la presenza della mutazione anche prima che la malattia si manifesti.
Nella specifica malattia di Huntington la ricerca cosa sta facendo?
La ricerca scientifica ha due ambiziosi obiettivi: rallentare o fermare il processo di morte delle cellule nervose che conduce alla progressione verso la disabilità e migliorare la qualità della vita dei pazienti attenuandone i sintomi. Per riuscire a ottenere risultati su questi due fonti la ricerca attualmente impegnata a individuare massicce e avveniristiche tecnologie di laboratorio e ha, al tempo stesso, grande necessità di collaborazione dei malati e delle loro famiglie.
L’Huntington è considerata una malattia ‘rara’?
E’ una malattia ‘rara’ in quanto rientra nei numeri che per l’Ue rendono rara una patologia ( non più di 5 casi su 10.000) ma è anche la malattia genetica più frequente del sistema nervoso. Una nostra stima ufficiale conta circa 6500 malati in Italia con 35.000 a rischio ereditario. Stimiamo che questo dato crescerà ulteriormente del 17% entro il 2030.
Esistono terapie in grado di curare la malattia di Huntington?
Esistono molti farmaci utili per contenere soprattutto il disturbo mentale, frequentemente associato alla malattia, ma pochissime risorse veramente utili per arginare il progressivo disturbo del movimento.
In Italia c’è la giusta assistenza per i pazienti malati di Huntington e malattie affini?
La Lirh nasce per garantire un’assistenza equa per tutti anche attraverso una campagna costante di informazione a tutti i livelli oltre che attraverso una costante presenza sul territorio. Tuttavia permangono molte carenze come, ad esempio, l’assenza di strutture dedicate ove accogliere chi si trova in fase avanzata di malattia. In questo l’Italia è purtroppo carente se paragonata ad altri Paesi Europei.
L’Italia quindi a che posto si classifica per la ricerca di queste malattie? Abbiamo qualcosa da invidiare ai nostri compagni europei e mondiali?
No, l’Italia è oggi inserita in un circuito di network globale che consente uno scambio costante che aiuta certamente la ricerca. Pertanto la qualità della ricerca italiana è all’avanguardia come quella di altri Paesi. Si pensi alle sperimentazioni con terapie con farmaci innovativi e all’uso di nuove tecnologie di biologia molecolare e cellulare già disponibili nei nostri laboratori. Tuttavia, a parer mio, una semplificazione delle procedure, soprattutto per la ricerca clinica, potrebbe in alcuni casi favorire l’investimento da parte dell’industria.
Che prospetto vede in un futuro da qui a 15 anni nella cura di questa malattia?
Beh, vista la velocità con cui la ricerca ha acquisito conoscenza negli ultimi anni, vedo traguardi concreti nel prossimo futuro, anche prima di 15 anni. Quello che temo è il rischio che le conquiste della ricerca possano non raggiungere il nostro Paese con la stessa rapidità che in altri. Per questo motivo noi abbiamo iniziato due tipi di operazioni: uno sul territorio nazionale per rinforzare una rete di collaborazione tra medici, ricercatori e pazienti e un’altra di networking internazionale che garantisca la partecipazione del nostro Paese ai progetti sperimentali tesi alla identificazione di nuove terapie.