Oggi è un giorno importante. L’Italia è tutta “bianca” ed è finito l’obbligo di indossare la mascherina negli spazi aperti. Queste ultime novità, unite all’abolizione del coprifuoco e alla riapertura di molte attività, ci stanno proiettando verso un ritorno alla normalità. Ma ne siamo certi?
Le strade si rianimano, i ristoranti sono strapieni e i luoghi di villeggiatura iniziano a ripopolarsi.
Le vittorie degli azzurri ci riportano ai meravigliosi ricordi delle serate di Italia ’90 e del Mondiale del 2006, ma i Tg sempre più insistentemente ci raccontano che la variante Delta del Covid incombe. È un crescendo di notizie che lasciano presagire scenari foschi. In Israele, paese con immunità di gregge raggiunta a tempo di record, si valutano nuove restrizioni. In Inghilterra si prospettano rinvii delle riaperture. In Australia addirittura si torna in lockdown.
Queste notizie ci gettano nello sconforto
Non si sono ancora placate le polemiche sui disastri combinati nel piano vaccinale. AstraZeneca prima no, poi sì, poi forse. Vaccinare i bambini meglio di sì o meglio di no? Dilazionare la seconda dose? Prima sì, poi no. Andare in vacanza solo con la prima dose? Fare le vaccinazioni in vacanza? Fare il Green Pass dopo la prima dose? Siamo nel caos più totale. Il Generale Figliuolo annuncia l’immunità di gregge entro settembre, ma ci sono ancora molti interrogativi e mille ragioni per cui tanta gente (anche delle fasce a rischio) si allontana dai vaccini.
Il professor Brusaferro (presidente ISS), nel commentare la liberazione dalle mascherine, ha ammonito: “Se i contagi dovessero aumentare, dobbiamo tornare a indossarle anche all’aperto”. Immancabili poi le polemiche sugli “assembramenti”. Per le feste calcistiche in piazza, per la movida o per qualche rave party clandestino, dimenticando che nella metropolitana gli assembramenti ci sono da marzo 2020 senza morti né feriti.
Ma come stanno le cose realmente?
Oggi le regioni sono tutte in zona bianca, ma potrebbero in men che non si dica ritrovarsi in zona rossa. Per quale motivo? Gli indicatori per l’attribuzione del colore erano 21 fino al Decreto Legge n. 65/2021. Tra questi indicatori quello dell’indice Rt pesava per circa il 50%. Per questo motivo le regioni avevano chiesto, e poi ottenuto con il citato DL, una modifica degli stessi.
Dal 16 giugno 2021 gli indicatori sono i seguenti: a) “Zona bianca”, le regioni con contagi inferiori a 50 ogni 100 mila abitanti per tre settimane consecutive; b) “Zona gialla”, da 50 a 150 oppure contagi da 150 a 250, ma con tasso di occupazione dei letti-covid di terapia intensiva inferiore al 20% o di area medica per Covid inferiore al 30%; c) “Zona arancione”, contagi da 150 a 250, ma con tasso di occupazione dei letti-covid in area medica tra il 30% e il 40% e quella in terapia intensiva tra il 20% e il 30%; d) “Zona rossa”, incidenza superiore a 250 contagi oppure, incidenza tra 150 e 250 casi se il tasso di occupazione dei posti letto è superiore al 40% in area medica o al 30% in terapia intensiva, sempre per pazienti Covid (Decreto Legge 18 maggio 2021 n. 65)
E l’indice Rt?
Siccome i parametri dei contagi e dei posti letto occupati fotografano la situazione attuale e non sono parametri previsionali, l’indice Rt non è stato eliminato. Resta valido nella fase transitoria, fino alla definizione di nuovi indicatori previsionali.
Ma cosa è l’Rt? È il rapporto del numero dei casi osservati in un determinato giorno diviso il numero medio dei casi osservati in un periodo di tempo antecedente, distante circa una settimana.
L’indice si riferisce solo ai sintomatici ed è condizionato da molte variabili. Un Rt superiore a 1 significa che la nuova generazione di infetti è superiore a quella precedente e viceversa, se inferiore a 1. Esempio: un Rt 1,3 ci dice che un gruppo di 10 casi è in grado di produrre 13 nuovi casi. Un Rt 0,7 indica che un gruppo di 10 infetti è in grado di produrre 7 nuovi casi. Il tempo stimato di calcolo è su 6,6 giorni (una settimana) che è il tempo medio intercorrente tra il contagio e la comparsa dei sintomi.
Nella gestione della pandemia, questo indice viene rapportato alla adozione delle misure di contenimento (chiusure, mezzi di barriera, ecc.).
Ha tuttavia dei limiti
Non considera gli asintomatici e quindi potrebbe sottostimare i casi, ma soprattutto è basato su un calcolo di probabilità e non su dati effettivi. Inoltre, prescinde dal numero reale dei casi pertanto con numeri esigui si possono avere indici alti che non sono dovuti al peggioramento della epidemia, ma solo all’ampliamento dell’intervallo di confidenza (dati Scienza in Rete). Il calcolo dei casi per 100 mila abitanti è anch’esso fuorviante. È palesemente condizionato dalla politica dei tamponi. Resta pertanto quello dei posti letto occupati l’indicatore più attendibile. Ma tutte le regioni hanno il numero minimo di posti letto Covid rapportato alla popolazione? Dovrebbero essere superiori a 14 ogni 100 mila abitanti, ma sei regioni sono al di sotto della soglia (dati AGENAS 27 giugno 2021). Anche questo indicatore è pertanto soggetto a possibili distorsioni.
Infine, alcune considerazioni sui vaccini
Al di là del caos generato dalle informazioni inesatte e dalla disorganizzazione, prendiamo per buono quanto ci hanno detto. Vaccinatevi tutti e torneremo alla normalità. Stiamo vedendo che non è così. Pur avendo il 30,02% della popolazione vaccinata (56,23 della popolazione coperta considerando anche i monodose) dovremmo dormire sonni tranquilli. Invece il rapporto persone testate/positivi il 27 giugno 2020 era 0,59%, mentre il 27giugno 2021 è stato 2,05% (dati Lab24). I casi sono addirittura aumentati nonostante la campagna vaccinale. La situazione dei posti letto invece è simile a quella dello scorso anno.
Merito dei vaccini o del periodo estivo?
Non si tratta di essere negazionisti e nemmeno no-vax, ma i conti non tornano. La risposta che mi aspetto è: grazie ai vaccini la popolazione è protetta, ci si può contagiare o essere paucisintomatici, ma si evitano morti e terapie intensive. Benissimo. Ma allora non ha senso tornare dalla fase 2 alla fase 1 come sta accadendo in Israele. Se è vero quello che ci raccontano basterebbe tornare alla normalità e curare a domicilio o in ospedale chi si ammala come si fa per qualsiasi altra malattia.