L’attualità e la drammaticità del fenomeno migratorio diventano arte. “Salvarsi dal naufragio” questo il titolo della mostra di scena a Roma, fino al 19 giugno, al Museo Carlo Bilotti-Aranciera di Villa Borghese. L’esposizione, vede i lavori di due artisti contemporanei molto diversi tra loro: lo scultore Antonio Bernardo Fraddosio ed il pittore Claudio Marini.
I due, senza conoscersi ed essersi mai incontrati, hanno dato vita a opere che rappresentano il loro punto di vista su quello che è il fenomeno forse più spaventoso che il nostro tempo conosce: il naufragio.
Ma cosa si intende oggi per “naufragio”? Quanti sono i naufragi possibili e soprattutto, è possibile fermare l’inarrestabile desiderio di salvezza? Sono queste le domande che si sono posti Fraddosio e Marini. Per i due artisti non sono solo i migranti, che ogni giorno affrontano la traversata in mare e che molto spesso falliscono, naufragando, il proprio viaggio. È anche l’Europa, la vecchia Europa, a essere madre e matrigna di questo malessere. L’aria che si respira sembra permeata dall’impossibilità di rinascita, di un nuovo slancio e un nuovo corso di possibilità. Anche l’Europa sta fallendo e quindi naufragando dinnanzi alle grandi sfide che la contemporaneità offre: quella dell’accoglienza e della solidarietà, dell’ambiente, del dialogo tra i singoli Stati membri e del dialogo di quegli stessi Stati nei confronti del mondo esterno.
Dalle opere di Fraddosio e Marini emerge con chiarezza, talvolta con violenza, la loro personale espressione del concetto di naufragio. La ricerca di una nuova, flebile, possibilità di vita è rappresentata nell’opera L’isola nera 2013 annus horribilis di A. B. Fraddosio; sono dodici pannelli materici che rappresentano i dodici mesi del 2013, sotto ognuno, ci sono i numeri che indicano il mese e l’anno, il numero dei migranti sbarcati e quello dei morti.
Piccoli oggetti disseminati a caso e brandelli di tessuto emergono su uno sfondo profondamente nero nel ciclo di opere Mediterraneo di Claudio Marini; sono i ricordi, i resti, ciò che rimane di pezzi di vita dispersa nella speranzosa ricerca di un approdo.
Non sfugge che ad essere tenuta sotto una speciale ed intima lente di ingrandimento, è la silente Europa. Tra le opere esposte è la bandiera, simbolo per eccellenza di identità nazionale e riconoscibilità sociale, ad essere nera ed immobile nell’opera di Marini E.U. (bandiere nere) del 2013; mentre una immobilità, seppur involontaria, emerge nella La bandiera nera nella gabbia sospesa di Fraddosio. In questo lavoro, presentato alla Biennale di Venezia nel 2011, è racchiuso con forza l’emblema di un nuovo corso: la bandiera non è libera di garrire al vento, non è più rassicurante e colorata. E’ ormai un brandello, rinchiuso in una grande gabbia, arrugginita e ostile, utilizzata nel Medioevo come strumento di tortura, una gogna appesa ad un lungo e sottile filo, uno spietato monito.
La mostra, curata da Gabriele Simongini e promossa da Roma Capitale-Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, vede l’esposizione di trenta opere che, tra pittura e scultura, penetrano nella mente del visitatore come in una danza tra vita e morte, tra luce e oblio. Aristidis Baltas, filosofo della scienza ed attuale Ministro della Cultura in Grecia, si è rivolto, in occasione della campagna “Benvenuti” lanciata a favore dei profughi, ad artisti ed intellettuali affermando l’importanza della creatività come strumento fondamentale di coscienza globale. L’arte, senza confini e senza steccati, senza pregiudizi o riserve, ci assiste, oggi più che mai, nella comprensione del difficile mondo in cui viviamo.