Covid-19 e giovani immunocompromessi, potrebbero essere facile preda delle mutazioni del virus? Lo studio americano, pubblicato online il 26 aprile sulla rivista EBioMedicine, è il primo rapporto di infezione prolungata da SARS-CoV-2 nei bambini o nei giovani adulti. La ricerca ha incluso due bambini e un adolescente che avevano un sistema immunitario indebolito a causa del trattamento per la leucemia linfoblastica acuta. Per mesi sono risultati positivi a covid-19.
Secondo i ricercatori del Children’s Hospital di Los Angeles, le infezioni da covid-19 possono durare più a lungo nei giovani con sistema immunitario indebolito portando alla creazione di nuove mutazioni. Al contrario, la maggior parte delle persone è contagiosa per circa 10 giorni dopo aver mostrato per la prima volta i sintomi da coronavirus.
“È significativo che questi pazienti abbiano continuato ad avere sintomi e infezioni attive per così tanto tempo – ha dichiarato il coautore dello studio, Jennifer Dien Bard, direttore del Clinical Microbiology and Virology Laboratory dell’ospedale – Il gran numero di pazienti pediatrici e adulti che ricevono terapia antitumorale e sono attivamente sottoposti a screening per il virus ci porta a concludere che questo è un evento raro, ma che potrebbe avere implicazioni per la salute pubblica”.
La maggior parte delle mutazioni non influisce sul comportamento del virus o sulla malattia che provoca, ma alcune di esse possono cambiare il modo in cui agisce il virus. Ad esempio, la variante B.1.1.7 (variante inglese di coronavirus) ha 17 mutazioni e si ritiene che sia più infettiva di altre varianti di virus. La stessa Dien Bard ha affermato che alcune prove suggeriscono che la variante B.1.1.7 potrebbe aver avuto origine in una persona immunocompromessa e costantemente infettata da SARS-CoV-2, virus principe causante covid.
Lo studio prosegue evidenziando che le infezioni che durano mesi sono comunque rare anche nei pazienti il cui sistema immunitario è compromesso.
“Abbiamo avuto molti altri pazienti immunocompromessi che non hanno avuto queste infezioni prolungate, ma è qualcosa di cui essere consapevoli, e gli ospedali potrebbero voler prendere in considerazione la modifica delle politiche di controllo delle infezioni per affrontare questa particolare popolazione “, hanno dichiarato i ricercatori dello studio.