In Norvegia è in forte aumento la presenza militare degli Stati Uniti e della Nato in risposta alle rinnovate velleità dell’espansionismo della Russia nella regione artica e più in generale alle attività militari del Cremlino lungo i confini settentrionali della Norvegia e dell’alleanza atlantica.
Nonostante ci fosse stato un riavvicinamento tra le politiche di Oslo e Mosca, il paese scandinavo ha cominciato a temere le mire espansionistiche della Russia già all’indomani dell’annessione della Crimea (2014) e, considerati gli ultimi recenti avvenimenti in cui sommergibili della flotta settentrionale russa che si suppone “sconfinassero” con frequenza lungo le acque vicine alla Norvegia, la tensione è inevitabilmente cresciuta. Ciò ha innescato un rafforzamento militare su entrambi i lati del confine e le manovre militari sono diventate più frequenti, anche se entrambi i paesi hanno continuato a cooperare su questioni locali come i viaggi transfrontalieri e la pesca. La Norvegia si sa, non ha un grande esercito ma migliaia di miglia di costa da difendere e per anni Oslo ha cercato l’equilibrio tra l’essere un membro della NATO e allo stesso tempo osservare le regole di buon vicinato, che però Mosca fa fatica a ricambiare.
Queste azioni hanno destato molta preoccupazione tra i paesi della Nato, dato che gli stessi sottomarini russi di classe Yasen, migliorati tecnologicamente e molto più silenziosi dei predecessori, sono anche equipaggiati con missili da crociera a lungo raggio. Del resto nell’ultimo decennio l’attività militare russa è molto aumentata nella regione artica, dove Mosca ha implementato ed ottimizzato le sue basi navali ed aeree.
Anche per le motivazioni di cui sopra, il 16 aprile scorso il Segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Lloyd J. Austin, e il ministro della Difesa norvegese, Frank Bakke-Jensen, hanno suggellato un nuovo accordo di cooperazione, il Supplementary Defense Cooperation Agreement (SDCA).
“… L’accordo svolgerà un ruolo fondamentale nel garantire la sicurezza norvegese nell’ambito della NATO, e la cooperazione in materia di difesa con gli Stati Uniti integra i nostri impegni per rafforzare le capacità delle forze armate norvegesi …”, ha rilevato il Ministro della Difesa Frank Bakke-Jensen.
È infatti utile ricordare che la strategia di difesa della Norvegia – così come una buona parte dei paesi aderenti al patto atlantico – si basa su tre elementi principali: le forze armate nazionali, la difesa collettiva attraverso la NATO ed infine i piani di cooperazione bilaterali stipulati con un paese alleato (es. il SDCA appena concluso con gli USA).
Il nuovo accordo opererà ad integrazione del precedente disposto, di cui alle intese del 1951, inerenti lo status delle forze del trattato del Nord Atlantico (NATO – SOFA), così da favorire una migliore interoperabilità e sviluppo dei programmi di addestramento tra le forze armate norvegesi e quelle statunitensi in terra d’Europa, nonché al fine di affrontare le sfide di sicurezza comuni e proteggere interessi e valori condivisi.
Negli ultimi settant’anni infatti, USA e Norvegia hanno stretto strategie e relazioni di difesa comuni anche attraverso il patto atlantico, il che conferma la posizione chiave del paese scandinavo sul fronte settentrionale della NATO e, di recente, i Marines statunitensi sono stati impiegati, pur in tono minore a causa della pandemia da Covid-19 ma anche per le note vicende del Medio Oriente, nell’ambito di un imponente programma di addestramento – oltre una miriade di altre attività di formazione congiunte – nelle vaste distese ghiacciate del territorio scandinavo e nei mari circostanti (programma Juncture Trident).
Sempre secondo le intese stabilite, gli Stati Uniti d’America potranno utilizzare liberamente le basi militari aeree e navali norvegesi, stazionare truppe o materiale logistico e dispiegare armamenti, all’occorrenza anche nucleari, sul territorio scandinavo, il tutto nel pieno rispetto della sovranità, delle leggi e degli obblighi legali internazionali della Norvegia. Si prevede comunque anche un’ampia casistica di ambiti che regolano gli aspetti più pratici nelle attività delle unità americane, come ad esempio l’ingresso e l’uscita dal paese scandinavo, la giurisdizione, le esenzioni da tasse e dazi, l’utilizzo di appaltatori, servizi di assistenza sociale e potenziali investimenti nelle infrastrutture supplementari.
L’accordo SDCA, concluso dal governo di minoranza del primo ministro Erna Solberg, prima di entrare in vigore dovrà essere ratificato dallo Storting, il parlamento norvegese, entro la fine dell’anno e stabilirà, tra le altre cose, che nuove strutture operative dovranno essere predisposte necessariamente in collaborazione con la Norvegia, ma finanziate dagli Stati Uniti. Al parlamento verranno presentate due proposizioni distinte: la richiesta di ratifica dell’accordo stesso e il progetto di legge che dovrà inserire la modifica nel diritto norvegese.
La Norvegia non prevede che la presenza americana sia dislocata permanentemente nei suoi territori e dunque il SDCA, dopo un periodo iniziale di dieci anni, dovrà essere nuovamente ratificato oppure potrà eventualmente essere risolto con un anno di preavviso.
Gli Stati Uniti hanno stipulato accordi simili con diversi paesi alleati in Europa, come ad esempio la Polonia, per promuovere un maggiore sviluppo nella cooperazione in materia di difesa al fine di fornire rinforzi in caso di crisi regionali o guerre localizzate in Europa.
Le installazioni individuate dal SDCA sono la base aerea ed il campo di aviazione militare di Rygge, quelle di Sola e di Evenes ed infine la base navale di Ramsund, le prime situate a sud non lontane dalla capitale Oslo, mentre le ultime due a nord in prossimità del Circolo Polare Artico, tra le città di Narvik e Harstad.
Evenes e Ramsund sono particolarmente strategiche ed ottimali dal punto di vista logistico (a Ramsund saranno ad esempio realizzati gli impianti di rifornimento carburante, mentre a Evenes verranno costruiti gli hangar per i velivoli P-8 Poseidon) e per i fini addestrativi di entrambi gli alleati, proprio per la loro vicinanza territoriale, che faciliterebbe le esercitazioni e le altre attività di supporto.
Mentre Rygge e Sola a loro volta costituiscono un’importante baluardo aereo nelle attività di cooperazione tra Norvegia, Stati Uniti e gli stessi alleati della NATO.
Tali aeroporti diventeranno inoltre le principali basi operative per la rinnovata flotta aerea di F-35 della Norvegia. Sono in previsione infatti gli acquisti di 52 F-35A a cui si aggiungeranno già dal 2022 altri 5 aeromobili di sorveglianza P-8A Poseidon attualmente in costruzione presso la Boeing. Inoltre saranno in grado di ospitare i bombardieri statunitensi B-1B Lancers che insieme ai P-8 monitoreranno le attività militari dei sottomarini russi nella regione artica.
Queste basi operative potranno altresì usufruire di importanti investimenti al fine di renderle sempre più idonee ai fini prefissati di concerto tra i due paesi ma comunque sempre nell’ambito del bilancio del Ministero della Difesa americana.
Tutti gli insediamenti – attuali o futuri – costruiti e finanziati dagli Stati Uniti rimarranno in ogni caso di proprietà della Norvegia.
Ulteriori strutture e installazioni militari potranno essere concordate in data successiva al trattato, di comune accordo, come ad esempio l’ampliata area portuale di Tromso ancora più a nord – a circa 190 miglia sopra il Circolo Polare Artico – che potrà essere aperta al transito regolare dei sottomarini alleati nel breve periodo. Infatti i lavori di ampliamento consentiranno ai natanti americani e della NATO di entrare nel porto e rifornirsi, consentendo stazionamenti più lunghi nella regione artica.
Tromso è considerata una infrastruttura particolarmente strategica data la sua vicinanza alla penisola russa di Kola, sede della potente flotta settentrionale di Mosca, ed è per questo che è stato di recente luogo di addestramento per le forze alleate. La scorsa estate diversi sottomarini da attacco rapido, classe Seawolf, specializzati nella raccolta di informazioni, hanno navigato nella zona artica inviando un chiaro segnale alla Russia sulla presenza americana nella regione.
Ma non solo, perché appena qualche giorno prima dell’arrivo dei sottomarini, sei bombardieri B-52 sono atterrati nel Regno Unito provenienti dalla base aeronautica di Minot, nel Nord Dakota, ed hanno sorvolato successivamente, assieme all’aviazione norvegese, ciascuno dei paesi aderenti alla NATO. In questa occasione ci sono state diverse provocazioni da parte dei caccia russi soprattutto nelle vicinanze del Mar Nero, dove alcuni SU-27 hanno letteralmente “fatto il pelo” ai B-52 americani sfrecciando a poca distanza dai bombardieri e qualche giorno dopo un altro SU-27, in volo da Kaliningrad, ha intentato un inseguimento ai velivoli statunitensi nello spazio aereo danese.
Lo scorso novembre, poi, sono apparse su twitter le foto che mostravano i siluri MK-48 Advanced Capability caricati a bordo della USS Minnesota, alla base navale norvegese di Haakonsvern, dove la 6a flotta statunitense aveva fatto tappa a seguito dei test militari a fuoco condotti dalla marina russa.
Mosca aveva persino accusato Washington di perpetrare azioni provocatorie, insistendo sul fatto che le attività militari russe nella regione artica non rappresentavano una minaccia per alcun paese, mentre al contrario gli Stati Uniti insistevano nella loro retorica belligerante. Infatti la Russia non aveva visto di buon occhio le operazioni condotte con i B-1B Lancers americani, nonostante il tenente generale Yngve Odlo, capo del quartier generale norvegese, dichiarasse che si trattava invece di “… normale attività militare tra due stretti alleati …”. L’alto ufficiale norvegese ha inoltre affermato che “… non stiamo entrando in una nuova guerra fredda …”, e che Oslo ha operato per lungo tempo, con i suoi alleati, nell’estremo nord vicino al confine russo.
Ma lo schieramento dei bombardieri è complementare al tentativo da parte degli Stati Uniti di operare in più modi nella regione artica per testare le proprie capacità di volare e navigare in condizioni di freddo estremo, esercizio che non ha affrontato finora o lo ha fatto in tono minore sin dalla disgregazione dell’Unione Sovietica.
È vero altresì che la flotta russa sta crescendo notevolmente visto che altri 15 sommergibili nucleari classe K-560 Yasen sono in costruzione presso il cantiere navale Sevmash di Severodvinsk. Ma è dal 2008 almeno che la Russia ha schierato la sua presenza strategica nell’Artico, costruendo nuovi aeroporti e modernizzando le basi esistenti, investendo soprattutto in nuovi sistemi missilistici a lungo raggio e riposizionando le proprie navi ed i suoi sottomarini.
Questo non fa che aumentare le preoccupazioni da parte dei paesi della Nato che vedono un pericolo nell’allargamento delle operazioni militari da parte della Russia in questo specchio di mare.
Oslo e i suoi alleati hanno anche il timore che l’ammodernamento della flotta e le esercitazioni russe nascondano in profondità un tentativo di sbarrare il tratto strategico di mare, noto come “Giuk Gap”, tra la Groenlandia, l’Islanda e il Regno Unito, e che taglierebbe fuori almeno l’ottanta per cento della Norvegia dai rifornimenti e rinforzi via mare in caso di un conflitto con Mosca. Questo giustifica la necessità della sorveglianza della regione artica da parte delle forze norvegesi e Nato, agita con tecnologie anti-sottomarino utilizzando gli aeromobili P-8 oltre che le navi di superficie ed elicotteri di nuova generazione.
Dunque il processo di modernizzazione delle forze armate norvegesi è in atto ma non sarà l’unico paese scandinavo, perché anche la Finlandia ha avviato lo svecchiamento della propria flotta aerea. Helsinki sta valutando infatti di acquisire dagli Stati Uniti 64 F-35 oppure 72 F / A-18 a posto singolo e doppio oppure ancora gli EA-18G Growler. Nella rosa di possibilità appaiono anche il francese Dassault Rafale, l’Eurofighter Typhoon del Regno Unito e lo svedese Saab Gripen.
Di pari passo gli Stati Uniti hanno iniziato da tempo il restyling del proprio dispositivo bellico, programma facente parte del “Force Design 2030”, che vedrà ad esempio il corpo dei Marines ridimensionato in termini di unità e attrezzature a disposizione. Si prevede infatti che il Corpo riduca la sua forza complessiva del 7% entro il 2030, eliminando i battaglioni di fanteria, gli squadroni di elicotteri e sbarazzandosi di tutti i suoi carri armati ormai obsoleti, compresi quelli dislocati nel complesso di “grotte” della regione norvegese di Trondheim, dove il Corpo ha immagazzinato armi e altre attrezzature per decenni.
Questi depositi sotterranei furono costruiti nel 1982, quando Usa e Norvegia concordarono di ammassare in sei caverne climatizzate sistemi logistici, armamenti, attrezzature e quanto necessario per fronteggiate un ipotetico scenario di crisi che si fosse aperto nel vecchio continente, riducendo così al minimo i tempi di rifornimento che provenivano solitamente dalla costa orientale degli Stati Uniti. Gran parte di questi equipaggiamenti furono già ritirati in occasione della Guerra del Golfo del 2003. Ne seguì un ampliamento delle scorte immagazzinate e per la prima volta carri armati e altri veicoli pesanti vennero parcheggiati nelle grotte. A partire dal 2018 tutti gli equipaggiamenti vennero di volta in volta ritirati ed utilizzati nel programma di esercitazioni militari in tutta Europa.
Il Ministero della Difesa statunitense ha dichiarato che i risparmi derivanti dal Force Design 2030 saranno in grado di ripagare i forti investimenti adottati per dotare i Corpi Speciali USA di nuovi equipaggiamenti high-tech necessari per contrastare Cina, Russia, Corea del Nord, e altri.
Ma quali altre ragioni potrebbero celarsi nell’irrigidimento dei rapporti, tra l’altro già tesi, tra gli Stati Uniti e la Russia lungo il Circolo Polare Artico, e che hanno portato irrimediabilmente ad un aumento delle attività militari in loco?
Ci sono una serie di ragioni che spingono Mosca lungo la rotta dell’Artico. La Russia ha la costa artica più lunga del mondo e deriva da qui circa un quarto del suo PIL. Le risorse naturali, in particolare i giacimenti di petrolio, che sono di fondamentale importanza per l’economia russa, sono concentrate proprio in questa regione, quindi Mosca continuerà a perseguire i suoi obiettivi con aggressività. Gli interessi economici russi si estendono dunque lungo la rotta del Mare del Nord, che Mosca vede come un prezioso corridoio per la navigazione tra l’Atlantico e il Pacifico.
Questa sfida economica del Nord ha diversi concorrenti tra cui gli Stati Uniti ma anche la Cina. Gli Stati Uniti, si sa, sono interessati a confermare la propria egemonia sull’Alaska e sui giacimenti petroliferi della regione, mantenendo ben lontani gli appetiti delle multinazionali russe. La Cina ha invece come obiettivo ultimo la “Polar Silk Road” come parte della sua “Belt and Road Initiative” ricorrendo a nuove rotte marittime. La Cina ha anche aumentato in modo significativo gli investimenti in Groenlandia per cercare di accelerare la sua indipendenza dalla Danimarca.
Il Diritto internazionale è debole in questo scorcio di pianeta, non esiste infatti un trattato che ne disciplini con chiarezza ogni aspetto. Secondo l’Onu, ogni paese può rivendicare fino a 200 miglia nautiche al largo dei confini della sua Zona Economica Esclusiva (ZEE). Oltre questo punto, un paese deve dimostrare che questa zona esterna le appartiene. Finora, solo l’Islanda e la Norvegia si sono viste approvare tali richieste. Le richieste presentate da Canada, Danimarca e Russia sono ancora in discussione.
La sfida per l’Artico ha dunque radici storiche, ma è dopo la Guerra Fredda che le manovre militari russe si sono acuite con più vigore. Il Cremlino ne fa non solo una questione economica ma anche di Difesa Nazionale. L’Artico è dunque al centro dei piani militari di Mosca. L’esercito russo è anche in genere il più adatto ad operare nelle dure condizioni dell’Artico, ma la sua attività preoccupa ancora i paesi vicini.