L’ispettore generale della polizia (IGP) per il Kashmir, Vijay Kumar, durante una conferenza stampa ha affermato ieri che la “Summer Strategy” diventerà presto pienamente operativa e che tutte “le misure sono state prese per garantire un’estate pacifica in Jammu – Kashmir”. Proprio in questi giorni, infatti, si è tenuto a Srinagar un importante rendez-vous che ha visto la partecipazione di alti funzionari della polizia, dell’esercito ed altri esponenti della sicurezza nazionale indiana.
Ma la tensione nel Kashmir, la regione tra le più contese sullo scenario internazionale, purtroppo è sempre più esplosiva.
Mercoledì di questa settimana c’è stato il ritrovamento dell’ennesimo IED (Improvised Explosive Device), incastonato all’interno di una pentola a pressione e lasciato sul ciglio di una strada trafficata nel distretto di Rajouri in Jammu e Kashmir, prontamente disinnescato dagli artificieri della polizia. Il ricorso agli IED sembra comunque destinato a crescere. L’arresto di Zahoor Ahmed da Doda la scorsa settimana, un terrorista affiliato alla TRF (The Resistance Force), ha confermato che i militanti stanno cercando di utilizzare IED anche contro esponenti delle forze armate.
Sempre mercoledì notte, nella “zona rossa” di Durganag a Srinagar, due individui armati spuntati dal nulla, appartenenti al gruppo estremista “Muslim Janbaz Force”, hanno aperto il fuoco in direzione del figlio del proprietario del famoso locale “Krishna Dhaba”. Durante l’attacco c’erano molti turisti ed è avvenuto nelle vicinanze dell’Hotel Lalit che ospitava tra l’altro una ventina di diplomatici stranieri in visita in città.
Questo genere di attacco è stato il secondo a Srinagar nei confronti di “residenti extra-Kashmir”, sin dall’abrogazione dell’articolo 370 della Costituzione indiana. Ed il mese scorso, un gioielliere, residente in Kashmir da oltre cinquant’anni, è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco.
L’opinione pubblica è fortemente scossa, ma… “Non scapperemo, vivremo e moriremo qui”, “Il nostro vicino (riferendosi sibillinamente al Pakistan) non vuole che la pace prevalga e il turismo fiorisca”, dice uno degli intervistati dopo l’attentato di mercoledì notte.
Ma quali sono esattamente le origini della destabilizzazione del Kashmir? Proviamo a fare un passo indietro.
La regione dell’Himalaya a maggioranza musulmana che da tempo è uno dei principali terreni di scontro con il vicino Pakistan, è attualmente divisa in tre territori: il Pakistan controlla la parte nord-occidentale (Azad Kashmire Gilgit-Baltistan), l’India controlla la parte centrale e meridionale (Jammu e Kashmir) e il Ladakh, mentre la Repubblica popolare cinese controlla la parte nord-orientale (Aksai Chin e il tratto Trans-Karakorum).
Quando il Kashmir fu integrato nel 1947 all’India, ne ricevette un notevole grado di autonomia, consentendogli persino una propria costituzione. Gli indiani non kashmiriani non avrebbero potuto acquistare alcuna proprietà nel territorio. Le leggi approvate dall’India non si sarebbero applicate automaticamente al Kashmir ma avrebbe avuto una sua assemblea di rappresentanti per approvarle. Avrebbe potuto approvare proprie leggi locali, come qualsiasi altro stato indiano, ad eccezione di alcuni aspetti come la difesa, la sicurezza interna e le relazioni poste invece sotto il controllo indiano. Il governatore tuttavia doveva essere nominato dal Presidente e sottoposto al controllo centrale.
Ma sia il Pakistan che noti gruppi terroristici e separatisti ne hanno sempre richiesto il diritto all’autodeterminazione quale Stato indipendente. Da allora seguirono decenni di violenza e confronti militari tra India e Pakistan, sfociati nei tre conflitti del 1965, del 1971 e del 1999 (quest’ultimo molto più limitato), ma si sono scontrati altre volte senza il coinvolgimento diretto delle forze armate.
Sin dagli anni ottanta sono iniziati, favoriti dal Pakistan, movimenti di guerriglia che hanno provocato almeno quarantamila vittime. Dopo una fase di stallo connotata dalla presenza asfissiante degli eserciti indiano e pakistano su ambo i confini, e continue proteste, disordini e violenze da parte della popolazione del Kashmir, la crisi si riaccese nuovamente a partire dal febbraio 2019, in occasione di un attentato suicida, compiuto da un miliziano di Jaish-e-Mohammed (“l’esercito di Maometto”, gruppo terroristico che secondo l’India è appoggiato dal Pakistan) contro un convoglio militare a Pulwana, nel sud della regione.
Per pronta risposta l’India varcò la “Line of Control” – la linea di controllo militare, che peraltro non costituisce un confine internazionale legalmente riconosciuto, ma funge da confine di fatto – per colpire i campi di addestramento di Jaish-e-Mohammed in Pakistan. Per rappresaglia l’esercito del Pakistan abbattè un aereo da guerra indiano catturandone il pilota. L’escalation di violenza tra i due paesi sembrò fermarsi dopo la riconsegna del pilota all’India, ma altri avvenimenti politici ne segnarono a breve il riacuirsi della questione.
Il 5 agosto 2019 l’India revocò lo statuto speciale del Kashmir, riportandolo di fatto sotto il controllo diretto di New Delhi.
Il premier indiano Modi, spinto in effetti da motivazioni di puro consenso politico, fece un colpo a sorpresa, abrogando l’articolo 370 e 35a della Costituzione. Modi, appoggiato dal BJP – il partito nazionalista Bharatiya Janata Party che è sempre stato contrario alla spartizione del Kashmir – già durante il suo primo mandato nel 2016, assunse una posizione dura nei confronti del Pakistan e condusse una campagna di repressione del terrorismo, promuovendo al contempo un atteggiamento nazionalista sul fronte interno. Dopo l’attentato terroristico di febbraio 2019 e la immediata rappresaglia dell’India, Modi fu riconfermato con un fortissimo consenso popolare, fatto che consacrò la svolta nazionalista dell’India. I tempi sembravano dunque maturi per procedere alla sospensione dello statuto speciale del Kashmir.
Un’altra delle ragioni che assecondarono il colpo di mano del premier indiano fu il clima di silenzio assordante della comunità internazionale che tra l’altro non prese mai una posizione netta nemmeno in altri eventi eclatanti accaduti in questo scorcio di secolo, es. il riconoscimento delle alture del Golan come territorio israeliano da parte degli Stati Uniti, l’annessione della Crimea da parte della Russia, gli avvenimenti di Hong Kong, ecc. Persino gli Stati Uniti, durante la presidenza Trump, nonostante si fossero offerti quali mediatori della diatriba tra i due paesi in contrasto – ma l’India ha sempre ribadito che si trattava di una questione bilaterale con il Pakistan – non fece nulla per opporvisi. Il Regno Unito, l’ex potenza coloniale, a sua volta stette in disparte.
Il Pakistan nel giorno delle celebrazioni del Kashmir Solidarity Day (5 febbraio), sta intensificando i suoi sforzi diplomatici nel portare all’attenzione del mondo quella che ritiene la “tragedia del Kashmir”, reclamando “… una soluzione politica e di dialogo ed in conformità alle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, al fine di concludere in modo dignitoso e pacifico la questione secondo le aspirazioni delle persone di Jammu e Kashmir…”, si apprende da un tweet del primo ministro di Islamabad.
Ma, date le ostilità ancora in corso tra i due paesi, in molti ritengono che le affermazioni del premier pakistano Imra debbano essere considerate quasi per mostrare alla nuova amministrazione degli Stati Uniti che il Pakistan non vuole assolutamente ostacolare il percorso di pace nella regione.
Il presidente Joe Biden, nel suo primo discorso in politica estera, ha ribadito che l’accento degli Stati Uniti sarebbe stato su “diplomazia, democrazia e diritti umani” ed il governo pakistano spera che incoraggi Nuova Delhi a rivalutare la questione del Kashmir. Il governo indiano ha recentemente ripristinato i servizi Internet nel territorio conteso e Islamabad ha visto questa mossa distensiva come volta a prevenire una possibile critica degli Stati Uniti sui gravi abusi dei diritti umani da parte dell’India nel territorio occupato.
Nel frattempo, è altamente improbabile che l’India risponda positivamente all’offerta del Pakistan, le posizioni sono ancora troppo distanti, e difficilmente l’India rinuncerà al Kashmir per ragioni di sicurezza, data la sua posizione globale strategica tra l’India, il Pakistan, la Cina e anche la Russia.