Dichiarata la legge marziale in alcune zone del Myanmar. Lo si apprende da un comunicato emesso oggi dalla giunta militare che lunedì della scorsa settimana ha preso il controllo del Paese rovesciando l’ordine democratico costituito guidato dal premio Nobel per la pace, Daw Aung San Suu Kyi.
L’ex-Birmania, Paese del sud est asiatico, dopo decenni di strapotere militare approdò a libere elezioni e ad un governo a guida civile a partire dal 2011. La leader settantacinquenne del partito NLD (National League for Democracy) ha trascorso gran parte della sua vita agli arresti domiciliari per la sua opposizione alla precedente dittatura militare, vincendo appunto il premio Nobel per la pace grazie ai suoi sforzi. Secondo la giunta militare che ha proceduto all’arresto di San Suu Kyi e di altri leader esponenti del NLD, il colpo di stato è conseguenza dei brogli elettorali avvenuti lo scorso novembre, durante le consultazioni democratiche, e che hanno portato al governo il partito con una vittoria schiacciante. L’avversario politico del partito NLD, il USDP (Union Solidarity and Development Party), capeggiato dall’ex generale dell’esercito Than Htay e sostenuto quindi dai militari che detengono comunque i tre ministeri chiave degli Interni, Difesa e Affari Esteri, insieme ad altri 23 partiti di opposizione avevano invocato inutilmente il rinvio del voto a causa della pandemia da Covid-19 e soprattutto della crescente crisi economica in corso.
Dopo l’arresto dei vertici del partito NLD, la giunta militare ha subito proclamato lo stato di emergenza di un anno, paventando nuove elezioni libere, ma di fatto senza offrirne certezze. A nulla sono valse le proteste della Comunità Internazionale (Stati Uniti in testa) e del Papa che hanno chiesto il rilascio immediato dei prigionieri ed il ripristino dell’ordine democratico nel paese.
A seguito delle proteste che hanno riversato oggi decine di migliaia di persone in piazza, nell’ennesimo giorno di manifestazioni in tutto il paese, dunque la legge marziale verrà applicata in sette comuni di Mandalay, una delle città più importanti dell’ex-Birmania. Il coprifuoco imporrà il divieto di manifestare, di parlare in pubblico e riunirsi in gruppi oltre le cinque persone dalle 20:00 alle 04:00 del mattino. Tali ristrettezze verranno mantenute fino a nuovo avviso da parte dell’amministrazione generale.
È possibile che a strettissimo giro le stesse misure vengano applicate anche nel territorio di Ayeyarwaddy
A Naypyidaw la polizia in tenuta antisommossa ha cominciato ad utilizzare i cannoni ad acqua nel tentativo di disperdere la folla manifestante. Manifestazioni di protesta sono state inoltre registrate in gran parte del paese, da Muse, al confine cinese, alle città meridionali di Dawei e Hpa-an.
A Yangon, la capitale commerciale del paese, la folla si è riversata già dal giorno precedente sulle strade principali della città, bloccando il traffico e intonando cori: “Abbasso la dittatura militare – Rilasciate Daw Aung San Suu Kyi”, e lanciando il saluto con le tre dita che è diventato il simbolo del movimento di protesta, sotto il roboante rumore dei clacson delle auto a sostegno dei manifestanti.
La possibilità di uno sciopero a livello nazionale mormorata durante il fine settimana, con lavoratori tessili, funzionari pubblici e dipendenti delle ferrovie che oggi hanno abbandonato il proprio lavoro nella capitale commerciale Yangon, è sempre più reale.
Dall’emittente statale MRTV la giunta militare ha ammonito dal manifestare illegalmente ed ha annunciato misure repressive contro “… i reati che disturbano, impediscono e distruggono la stabilità dello Stato, la sicurezza pubblica e lo Stato di diritto …”.
La situazione si fa sempre più critica e il rischio di imminenti violenze è sempre più tangibile. Rieccheggia ancora l’incubo delle atrocità di massa compiute dai militari in un recente passato nemmeno così lontano, uccisioni di civili, sparizioni forzate, torture e arresti arbitrari.
Foto in evidenza fonte Twitter @TwalterWin