I pescatori italiani sequestrati in Libia da Haftar sono finalmente liberi. All’alba del 109esimo giorno di prigionia, dunque, hanno rivisto la luce. Dopo le incessanti trattative dei servizi segreti dell’Aise, l’Agenzia per gli esteri, andate avanti per tutto il periodo di detenzione dei nostri marittimi, il generale Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica a capo dell’autoproclamato esercito nazionale libico (Lna), ha concesso loro la libertà per passare con le rispettive famiglie le prossime feste natalizie. Ma Conte e Di Maio, turisti per caso a Bengasi, hanno sbandierato il rilascio dei pescatori come una vittoria della politica.
Gli uomini del generale Caravelli, operando nel silenzio e senza alcuna visibilità, si sono trovati di fronte ad una vicenda iniziata il primo settembre scorso quando i due pescherecci italiani d’altura, di base al porto di Mazara del Vallo, sono stati sequestrati al largo della Libia, a 35 miglia da Bengasi, proprio dalle forze al comando del generale Khalifa Haftar. Tra i 18 membri dell’equipaggio, otto italiani, sei tunisini, due indonesiani e due senegalesi. Il presunto sconfinamento dei pescherecci italiani in acque libiche non è un fatto nuovo. Accuse del genere da parte dei libici sono frequenti, e in passato altri natanti sono stati fermati. Ma stavolta la differenza l’ha fatta la politica. In certi ambienti, durante i mesi di detenzione, una frase ricorreva più di altre: “Se a capo del governo ci fosse stato un uomo come Berlusconi, ad esempio, la questione si sarebbe chiusa in meno di una settimana”. E invece, questa volta è toccato solo agli 007 trovare la chiave per arrivare alla liberazione. Dalla politica, infatti, è arrivato poco e niente.
A settembre, dunque, quando le motovedette del Lna in servizio di pattugliamento della “zona militare” tracciata da Haftar hanno rilevato la violazione del tratto di mare sottoposto a limitazioni alla navigazione procedendo quindi a bloccare i due natanti e a condurli nel porto di Bengasi, la sensazione degli addetti ai lavori è stata quella dell’incidente diplomatico voluto. Nei giorni successivi, per l’intelligence è iniziata la laboriosa attività per capire i termini e le condizioni per il rilascio chiesti dall’uomo forte della Cirenaica, ben consci che il nostro governo ha da sempre sostenuto il governo di al Serraj, riconosciuto dalla comunità internazionale ma con enormi limiti oggettivi. La diplomazia sotterranea e priva di visibilità, comunque, ha dato i suoi frutti. Per settimane gli uomini dell’Aise hanno continuato a fare la spola tra Bengasi e Roma per riferire in merito ai colloqui e alle eventuali “richieste di riscatto” presentate dal Lna, alle quali ovviamente, ci saremmo adeguati.
La personalità di Haftar era ben lungi dal mostrare le eventuali necessità del proprio governo, preferendo al mero denaro o altro, il riconoscimento ufficiale del proprio potere e della benevolenza nei confronti del nostro Paese. Nei giorni scorsi Caravelli avrebbe ricevuto rassicurazioni da parte della leadership di Bengasi in merito alla volontà di procedere alla liberazione dei nostri pescatori e, comunicata la notizia alla presidenza del Consiglio, ha sottolineato la necessità che una rappresentanza del nostro governo fosse presente nella Capitale della Cirenaica all’annuncio ufficiale da parte del generale Haftar. Proprio con questa motivazione Conte e Di Maio, alle 10,30 di ieri mattina, si sono imbarcati dall’aeroporto di Ciampino per raggiungere Bengasi ed essere ricevuti dall’uomo al comando del Lna, rivendicando il loro ruolo “essenziale” nelle trattative per la liberazione dei 18 marittimi. Ma il pensiero di molti, tra cui quello del presidente del Copasir, Raffaele Volpi, è andato subito all’operato del “generale Caravelli ed ai suoi uomini per la costante dedizione e il determinante lavoro svolto. Unicamente a loro va la mia sentita gratitudine”. Nulla da parte della politica.
Alla fine di un incubo durato 108 giorni, però, i 18 pescatori hanno intrapreso il viaggio di ritorno da Bengasi a Mazara del Vallo grazie alla diplomazia sotterranea sempre al lavoro, non sostenuta da una politica che di questi tempi continua a perdere di credibilità, semmai c’è l’ha avuta, in materia di politica estera.