Una bugia ripetuta più volte diventa una verità. È uno dei fondamenti della propaganda che nella storia dell’essere umano ha sempre caratterizzato i regimi dichiarati e quelli travestiti da democrazia.
A Joseph Goebbels, Ministro della Propaganda del Terzo Reich, si attribuisce la frase “Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità”. Non esisterebbero prove inconfutabili che sia stato proprio lui a dirla, almeno non in questi termini, ma il senso del Ministero di cui era a capo è proprio quello espresso nella citazione che ad un certo punto, pure se falsamente, viene attribuita allo stesso Goebbels. Potenza della propaganda, madre delle peggiore nefandezze commesse dall’essere umano.
Questa volta, la macchina della propaganda ha trovato nella morte di Willy Monteiro il suo olio lubrificante. Il ragazzo ucciso diventa così la bandiera del pensiero dominante. Lo usano per attaccare leader politici e tutti coloro che non si allineano alle “regole” dettate da pochi (presunti) “saggi” che impongono le loro idee.
“Willy è stato ucciso dai fascisti”, o meglio dalla “cultura fascista”, “fatta di violenze e razzismo”. Non ci sono prove, almeno al momento, che il movente sia razziale. Ma non importa, la propaganda è impostata sui binari della riesumazione del fascismo da contrapporre al buonismo (o al politicamente corretto o al comunismo o qualunque altra cosa voi vogliate) per dimostrare che la verità è nelle mani di un solo orientamento politico e ideologico. In Cina, del resto, si comportano allo stesso modo.
E così, il corpo martoriato di un povero ragazzo è cannibalizzato da commenti e opinioni disgustose. L’appiglio di questi sciacalli è il colore della pelle. Willy non era un “bianco” e quindi si può giocare su questo per attaccare l’avversario politico. E poco importa se la “tesi razzista” non corrisponde alla verità, prima o poi lo diventerà anche a dispetto di una eventuale sentenza, quella sì unica deputata a ricostruire almeno una verità giuridica.
Chi ha ucciso Willy non ha cultura, nel senso positivo di conoscenza, ma solo culto della violenza (e del ‘coattismo’) fine a se stessa inoculata in modo più o meno subdolo da serie tv (tra l’altro scritte da sinistroidi…) e libri. Certi influencer, poi, hanno spinto all’ennesima potenza lo svilimento della cultura intesa come conoscenza e studio. Per diventare ricchi e famosi non serve la conoscenza, ma basta scattare una foto (o un selfie) con abiti costosi, meglio se in barca o alla guida di una lussuosa auto. L’importante è fare soldi, o almeno dimostrare di averne. Il peso specifico di ogni singola persona è misurato in base a parametri puramente estetici e legati a status simbol. Vali se hai un’auto potente, occhiali alla moda, borsa e scarpe fighe, un corpo scolpito da esibire nelle foto delle vacanze giuste (preferibilmente con un tasso alcolico elevato).
Perdonaci Willy, perdona l’arroganza e la violenza di questa società.
Ti hanno ucciso la superficialità e l’inciviltà di un Paese e di una classe dirigente che non alleva i suoi figli con cura e dedizione.
Ti hanno ucciso libri e film che esaltano la malavita mostrandone prepotenza e impunità. Ti hanno ucciso media, commentatori e politici che sfruttano le persone innocenti come te per accrescere la loro influenza.
Il colore della pelle di Willy interessa al pensiero unico, al politicamente corretto, agli antifascisti. A noi, invece, non interessa.