L‘accordo di pace tra Israele e Emirati Arabi si muove lungo un terreno minato. Le reazioni internazionali contrastanti non erano certo inaspettate. Ma l’accordo di normalizzazione dei rapporti raggiunto fra Israele e gli Emirati Arabi, ottenuto con la fondamentale mediazione degli Stati Uniti, potrebbe scatenare le reazioni degli estremisti.
Il ministro di Abu Dhabi, Anwar Gargash, considera l’accordo come una opportunità di pace per tutto il Medio Oriente, anche perché fornirebbe “più tempo” per trovare una “soluzione a due Stati”, in relazione alla questione israelo-palestinese. Il diplomatico degli Emirati ha accolto le reazioni positive di buona parte delle “principali capitali” poiché l’accordo stesso affronta il “pericolo di un’annessione dei Territori palestinesi” e ha lodato la “coraggiosa decisione” dell’erede al trono di Abu Dhabi, Mohammed bin Zayed al Nahyan. Gargash ha sottolineato come l’accordo tra gli Emirati e Israele crei nuove opportunità per sviluppare i legami fra i due paesi, secondo un atteggiamento “realistico” adottato dagli Emirati “in piena trasparenza”.
Lo storico accordo è stato siglato l’altro ieri in videoconferenza dal premier israeliano, Benjamin Netanyahu, e dal principe ereditario di Abu Dhabi, Mohammed bin Zayed al Nahyan, sotto la mediazione del presidente statunitense Donald Trump. L’intesa prevede, oltre alla normalizzazione dei rapporti fra Israele ed Emirati, la rinuncia da parte di Israele all’annessione di alcune parti della Cisgiordania, prevista dal piano di pace per il Medio Oriente proposto nei mesi scorsi dagli Stati Uniti, e la futura firma di accordi di cooperazione.
Netanyahu ha ringraziato il Mossad nella persona di Yossi Cohen, direttore del servizio d’intelligence israeliano, per il fondamentale ruolo ricoperto per il raggiungimento dell’accordo con gli Emirati e “dell’assistenza fornita dall’Istituto nello sviluppo dei legami con gli Stati del Golfo in questi anni”, passo fondamentale per giungere al trattato di pace con lo stato emiratino.
Secondo l’agenzia di stampa israeliana Kan, anche il Bahrein e l’Oman potrebbero seguire a breve l’esempio degli Emirati firmando un accordo con lo Stato ebraico per la normalizzazione dei rapporti diplomatici.
A fronte delle soddisfazioni espresse da Gerusalemme e Abu Dhabi, dichiarazioni di fuoco sono state divulgate da Turchia, Iran, Libia e ovviamente dai rappresentanti dell’Autorità nazionale palestinese e dei gruppi terroristi Hamas e Hezbollah.
Per Ankara “la storia e la coscienza della popolazione della regione non dimenticherà e non perdonerà mai il comportamento ipocrita degli Emirati Arabi Uniti nell’accettare un accordo con Israele. Mentre tradiscono la causa palestinese per servire i propri ristretti interessi, gli Emirati Arabi Uniti stanno cercando di presentare (l’accordo ndr) come una sorta di atto di sacrificio di sé per la Palestina”. Questo il commento diffuso dal ministero degli Esteri turco riportato dall’agenzia Anadolu a seguito del quale è stata annunciata la chiusura della rappresentanza diplomatica turca ad Abu Dhabi.
Sulla stessa lunghezza d’onda, l’Iran considera l’accordo come “una “pugnalata alle spalle” per i palestinesi e per tutti i musulmani. Teheran, nella dichiarazione del ministero, ha definito la normalizzazione dei legami tra i due Paesi una misura “pericolosa e “vergognosa” e ha messo in guardia Israele e gli stessi Emirati dall’interferire nelle ”equazioni politiche” della regione del Golfo Persico. Il presidente iraniano Hassan Rohani, in un discorso alla televisione di Stato, ha dichiarato che “gli Emirati Arabi Uniti hanno commesso un grave errore” raggiungendo un accordo con Israele. Una mossa, ha aggiunto Rohani, che trasformerà gli Emirati in “un obiettivo facile e legittimo della resistenza pro-iraniana”.
Anche la Libia di al Sarraj ha tenuto a sottolineare come l’accordo Emirati-Israele rappresenti l’estensione del ruolo deleterio di Abu Dhabi nella regione. Questo, in sintesi, il contenuto della dichiarazione di Mohamed Ammari Zayed, membro del Consiglio presidenziale del Governo di accordo nazionale di Tripoli. Secondo l’esponente dell’esecutivo, l’accordo è “un tradimento non sorprendente da parte degli Emirati Arabi Uniti”, aggiungendo che esso è “un risultato naturale del ruolo distruttivo che gli Emirati Arabi Uniti svolgono in Libia, Siria e Yemen, assediando i popoli del Qatar, i palestinesi e i popoli liberi nella regione”.
L’Anp ha annunciato la chiusura della propria rappresentanza negli Emirati e chiesto una convocazione urgente della Lega araba per fare fronte all'”ennesimo tradimento” perpetrato da un paese musulmano.
Il gruppo terroristico Hamas ha condannato la normalizzazione dei rapporti tra gli Emirati e Israele definendo l’accordo un atto di codardia e insidioso nei rapporti con l’”entità sionista”.
Hezbollah, per bocca del leader Hasan Nasrallah, ha denunciato l’accordo come sacrilego preannunciando azioni contro Israele e i Paesi arabi traditori.
La fratellanza musulmana in Pakistan, rappresentata dal partito fondamentalista Jama’at islamyia, ha preannunciato manifestazioni di protesta avverso il concordato tra Israele ed Emirati.
Il traguardo raggiunto nelle relazioni bilaterali tra Israele e gli Emirati, rappresenta un deciso passo avanti nella lenta ma costante normalizzazione dei rapporti tra gli Stati a maggioranza musulmana e Gerusalemme. Sono innumerevoli i benefici derivanti da una stabilità del Medio Oriente di cui potranno godere sia l’amministrazione Trump, garante dell’accordo in chiave elezioni, sia lo stesso Israele che, in conseguenza alla riapertura dei contatti e delle relative ambasciate con gli Emirati, potrebbe, di concerto con gli Usa, ottenere anche un importante testa di ponte nel Golfo Persico, proprio di fronte al minaccioso Iran. Dal canto loro gli Emirati vedranno crescere in prospettiva i volumi di import export con l’Occidente e con lo stesso Israele, acquisendo una posizione politica internazionale di privilegio rispetto agli altri Stati del Golfo e pari solo a quella di Egitto e Giordania.
Appare scontato che, da parte degli arabi palestinesi, l’accordo darà il via a una serie di azioni ritorsive contro i Paesi che lo hanno sostenuto e contro Israele.
L’Anp di Abu Mazen, l’entità astratta che caldeggiava un fronte comune arabo contro i “sionisti”, pare aver definitivamente perduto ogni capacità di allargare gli orizzonti (e la mente…) per stabilire una vera e duratura pace in Medio Oriente in favore di una decisa ripresa terroristica vista come unica strada da seguire. L’establishment palestinese, sempre più impegnata ad arricchirsi a scapito di una popolazione in perenne sofferenza, pare aver dimenticato di non rappresentare una priorità nel panorama mediorientale. La crisi siro-irachena e quella in corso in Libano, avrebbero dovuto imporre una seria riflessione in merito alle aspettative palestinesi, imponendo un passo indietro nelle richieste avanzate all’Onu e un atteggiamento meno bellicoso nei confronti di Gerusalemme.
Ben spalleggiato da Hezbollah, Jihad islamica e, di conseguenza da Teheran, il fronte fondamentalista potrà sicuramente trovare un altro alleato anche nelle velleità imperialiste di Erdogan, giovandosi di una nuova verve nelle attività terroristiche a fronte di una totale scomparsa dalla scena politica internazionale sempre più protesa alla ricerca di una pace duratura.