Solo gossip, niente dissenso. Il cittadino è meglio che stia fuori da ogni orbita politica sia in chiave di partecipazione attiva sia in chiave passiva. Soprattutto, guai a chi manifesta più o meno inconsapevolmente il proprio pensiero. Il rischio è di finire indagati.
Tra le notizie quotidiane che riguardano il nostro Paese, trovano ben poco spazio quelle con una proiezione verso gli affari esteri in favore delle beghe interne e delle statistiche relative alla pandemia di Covid19 o all’arrivo dei clandestini.
Il provincialismo nella diffusione di notizie esasperate su atteggiamenti dei nostri presunti politici o ancor più del gossip da mercato relativo a personaggi del jet set, sta impoverendo culturalmente l’Italia, riducendola a un ruolo inesistente in politica estera e marginale nella gestione del vivere quotidiano.
In questa settimana abbiamo assistito impotenti alla tragedia libanese, a un innalzamento delle tensioni nel Mediterraneo tra l’Egitto, la Grecia e la sempre più invadente Turchia (sì invadente, termine scelto non a caso…), alla cacciata dei nostri militari a Misurata da parte del governo di al Serraj ben spalleggiato da Ankara. Tuttavia gli italiani non sembrano interessati.
Se è vero che la non-informazione (diversa dalla disinformazione) è un fenomeno che riguarda una grossa fetta del pubblico, c’è da dire che gli Organi amministrativi dello Stato, in particolare quelli preposti al potere giudiziario, non eccellono per il peso dimostrato nelle investigazioni e nelle loro iniziative.
Mi spiego meglio.
A fronte delle problematiche sociali che da tempo affliggono l’Italia (immigrazione, malgoverno, criminalità), i nostri magistrati non pare si preoccupino troppo delle reali necessità legate alla sicurezza dei cittadini.
È dell’8 agosto 2020, la notizia che la Procura di Roma (sì, quella della Capitale), ha instaurato un procedimento penale a carico di alcuni internauti, delegando il Ros dei carabinieri per le indagini relative … non al terrorismo, non alle mafie, non all’immigrazione, non alla criminalità, ma bensì per i reati di offesa all’onore e al prestigio del Presidente della Repubblica.
Alcuni navigatori del web, infatti, avrebbero inanellato “un crescendo di condotte offensive nei confronti del Capo dello Stato, che appaiono frutto di una elaborata strategia di aggressione alle più importanti Istituzioni del Paese”. (Min….a!).
Ora, pur considerando l’obbligatorietà dell’azione penale che la Procura è tenuta a rispettare, non risulterebbe che le cariche dello Stato destinatarie delle “condotte offensive” abbiano dovuto rinforzare i servizi di vigilanza e tutela a loro assegnati in considerazione della “pericolosità sociale” dimostrata dagli indagati…E poi, in un periodo in cui il cittadino è reduce da una quarantena devastante per l’economia del Paese e per la salute psichica personale, sotto l’assedio di un esercito di immigrati e di un diffuso sentimento di malessere contro le istituzioni, il Corpo giudiziario assume l’iniziativa di colpire chi, sia ben inteso in modo sbagliato, dimostra apertamente il proprio malessere nei confronti di chi lo dovrebbe rappresentare.
E tutto questo con un aggravio di spese non indifferente se ci si attiene a quanto riferito dagli organi investigativi che sarebbero stati, e lo sono a tutt’oggi, impegnati in un “ampio contesto investigativo” che “attraverso accurati accertamenti svolti dalla componente investigativa telematica”, avrebbe condotto all’individuazione di un 46enne di Lecce molto attivo sul social network Twitter attraverso il quale avrebbe “pubblicato numerosi post e contenuti multimediali, riferibili sia a fatti inerenti all’esercizio delle funzioni del Presidente della Repubblica, più volte offeso, sia a fatti che riguardano la sua individualità privata”. Inoltre, la perquisizione nei confronti dell’uomo “è stata estesa anche agli account telematici e ai profili social portando, al termine delle operazioni, al sequestro di tutti gli apparati informatici utilizzati dall’indagato per commettere i reati attribuitigli”.
Tutto questo, detto in parole povere, ha prodotto la denuncia a piede libero dell’indagato, al sequestro, nel migliore dei casi, di un computer e all’impegno di personale “altamente specializzato” in una perquisizione finalizzata a rinvenire che cosa? Quello che già era ipotizzabile: un personal computer.
Ora, senza nulla togliere alla professionalità degli investigatori che, proprio in considerazione delle loro specificità avrebbero potuto essere impegnati in compiti ben più importanti per la tutela della sicurezza del Paese, loro malgrado si son visti ridotti a trascrivere qualche insulto, beninteso insulto, non minaccia, nei confronti di una carica istituzionale importante ma non eletta dai cittadini. Siamo certi che l’Italia gioverà dei benefici di un’assicurazione alla giustizia del malfattore? E in quale chiave vogliamo rendere giustizia agli operatori? Per aver combattuto il crimine? Il terrorismo? La mafia? L’immigrazione illegale? No. Nulla di tutto ciò.
Assisteremo quindi a un processo il cui esito potrebbe apparire scontato con una sentenza di colpevolezza e una pena. Ma quale pena? Il “sospetto criminale” potrebbe avere o meno precedenti specifici, condanne, propensione a delinquere, ma in ogni caso non sconterà certo un giorno in cella.
Quindi? Cosa rimarrà di tutto ciò?
Un inutile dispendio di energie e di capitali per mostrare i muscoli contro un cittadino scontento la cui unica colpa è rappresentata dall’aver palesato in maniera esagerata ( e probabilmente inopportuna) il proprio malcontento.
Non si rimane stupiti, quindi, nel constatare il livello di arretratezza del nostro Paese.
Meglio ritornare a Conte (l’allenatore, ovviamente), a Belen e a Temptation Island, almeno non corriamo il rischio di incappare in qualche Procura.