Fayez al Sarraj manda via i soldati italiani da Misurata. Un fatto quasi inevitabile vista la politica del governo condotta fino ad ora nel paese nordafricano. L’episodio in questione è avvenuto giovedì 30 luglio, quando un Hercules C 130 con 40 soldati (militari del Celio e della Brigata Julia) a bordo, partito da Pisa è atterrato a Misurata, dove dal 2016 l’Italia è presente con la missione ‘Ippocrate’ per fornire assistenza “sanitaria alle forze libiche impegnate nel contrasto alla presenza di Daesh (Isis, ndr) nel Paese”. Secondo quanto emerso, il governo di Tripoli avrebbe negato lo sbarco dei nostri militari contestando la mancanza del visto sul passaporto. Il problema, però, potrebbe non essere stato questo. I nostri militari, secondo altre ricostruzioni, avevano tutta la documentazione completa e la decisione di non farli sbarcare sarebbe meramente politica.
In ogni caso, questa vicenda ruoterebbe tutta intorno alla missione in corso proprio a Misurata. Per i primi due anni, all’incirca, l’ospedale ha offerto il supporto sanitario necessario per la lotta contro l’Isis. Poi, da qualche tempo a questa parte, il Comcoi, Comando operativo di vertice interforze che di fatto gestisce le missioni all’estero, avrebbe intrapreso una linea su cui adesso anche il ministero della Difesa vorrebbe vederci chiaro. Secondo alcune fonti, infatti, l’ospedale di Misurata si sarebbe trasformato in una base militare vera e propria (come in Afghanistan o in Iraq), chiusa, senza attività e senza rapporti con il territorio. Una scelta che avrebbe contribuito, oltre all’assenza di una decisione politica lungimirante, a generare malcontento nei libici che non hanno visto alcuna collaborazione dai militari italiani. Quasi 400 persone chiuse in una base con costi notevoli. L’errore strategico di questa missione, dunque, sarebbe proprio qui. E cioè nell’aver considerato la Libia un paese in cui creare una sorta di avamposto di occupazione militare, per poi chiudersi in una base e difendersi in caso di attacco. Ma il paese nordafricano ha un’altra storia e segue un altro percorso. Quello che l’Italia avrebbe dovuto fare, suggeriscono fonti di Palazzo Chigi, era inserirsi nel tessuto sociale ed economico, offrire addestramento militare e organizzare una presenza fruttuosa sotto tutti i punti di vista.
Ma l’assenza di una linea diplomatica chiara dell’Italia in questi anni, ha portato il governo di Fayez al Sarraj (quello riconosciuto dalla comunità internazionale e nato sotto l’egida dell’Onu) ad allontanarsi progressivamente da Roma. Il nostro governo non si è schierato neanche con l’antagonista di Sarraj, il generale Khalifa Haftar. Risultato: una politica confusa che ha scontentato tutti al punto che Tripoli si è lanciata nella braccia della Turchia, a cui di certo non fa paura l’Italia e che nella questione dei soldati di Misurata potrebbe aver avuto un ruolo.
E dire che Sarraj, sempre secondo alcune indiscrezioni filtrate da Palazzo Chigi, prima di rivolgersi a Erdogan pare abbia chiesto aiuto militare all’Italia per gestire la presenza dei terroristi e per arginare l’avanzata di Haftar verso Tripoli. Ma il governo italiano non avrebbe risposto nel modo adeguato e anche adesso, con l’emergenza coronavirus, il supporto richiesto non è arrivato. Insomma, i libici si sarebbe stancati di un’Italia assente e priva di una linea, che non è riuscita a gestire i rapporti e diventare un interlocutore serio e credibile di un paese strategico per la nostra sicurezza e per le implicazioni economiche.
Al momento il governo Conte è in confusione. I flussi migratori arrivano da più parti. Lampedusa è al collasso e gli sbarchi non si fermano.
E nel tentativo di fermare l’emorragia dal nordafrica, la strategia italiana propone accordi al ribasso che non allettano nessuno. In attesa che il ministro degli Esteri, o quello della Difesa, e magari anche il presidente del Consiglio, spieghino agli italiani l’accaduto, le opposizioni si sono fatte sentire. Il senatore Enrico Aimi, capogruppo di Forza Italia in Commissione Esteri, in una nota ha parlato di “un caso di ‘respingimento’ senza scrupoli, ridicolo e al tempo stesso umiliante per loro e per noi. Rimandati a casa dopo poche ore, con lo stesso aereo, nuovamente verso Pisa. La notizia ha dell’incredibile e dimostra che a livello internazionale il nostro Paese non conta più nulla. Proviamo ad immaginare cosa sarebbe accaduto se un ‘incidente’ di questo tipo avesse coinvolto i Marines Americani giunti in un qualsiasi Paese amico”. E ha annunciato “un’interrogazione ai Ministri competenti per chiedere chiarimenti. Il governo ha il dovere di dare immediatamente delle spiegazioni su questa vicenda inaccettabile”. Anche Fratelli d’Italia ha chiesto “ai ministri Di Maio, Guerini, Speranza spiegazioni su 40 militari italiani respinti in Libia”.
Ma al momento, l’unica cosa che emerge è una disfatta su tutta la linea. Facendo rimpiangere l’epoca in cui Silvio Berlusconi, riuscendo a trattare anche con un dittatore, ha difeso i nostri interessi nel paese nordafricano