Sulla strage di Bologna si è detto e scritto troppo, anzi poco. Coloro i quali avrebbero dovuto parlare si sono chiusi in un imbarazzante silenzio, mentre a quelli che avrebbero dovuto scrivere è mancata la carta, anzi, le carte. Le coperture fornite in nome della “ragion di Stato” ai veri colpevoli, ad oggi formalmente ignoti, sono saltate ad una ad una, senza alcuna considerazione per le altrettanto innumerevoli rivelazioni che avrebbero consigliato una totale revisione dei processi che si sono susseguiti nel corso degli anni.
Eppure dalla lettura degli articoli di stampa, dalle copiose edizioni librarie e dagli elementi raccolti nel web, salta all’occhio l’abbondanza di nomi, di identità specifiche che non siano quelle dei burattinai dell’intero apparato volutamente deviato messo in piedi dal governo allora in carica e da quelli successivi.
In generale, il 2 agosto del 1980 a Bologna era caratterizzato da una miriade di presenze inquietanti. Da Prima Linea ai brigatisti rossi sino a elementi del gruppo “Separat”, l’Organizzazione dei Rivoluzionari Internazionali, creato e diretto da Carlos lo Sciacallo, al secolo Ilich Ramírez Sánchez.
Avvicinandosi la ricorrenza del tragico attentato, vogliamo tentare, senza alcuna presunzione, di fornire una ricostruzione degli eventi decorsi partendo da molto prima di quel tragico 2 agosto 1980, ma con un punto di vista differente da quello ufficiale.
Strage di Bologna: un prologo di sangue
Il 5 settembre 1973 la polizia perquisisce un’appartamento di Ostia, occupato da cinque arabi, dove rinviene e sequestra due missili terra-aria Strela, di fabbricazione sovietica. Gli arabi vengono subito tratti in arresto.
Il successivo 17 dicembre, a processo iniziato, un commando di Settembre Nero attacca l’aeroporto di Fiumicino, uccidendo 34 persone, ferendone altre 15 e dirottando un aereo della compagnia tedesca Lufthansa. Il volo fece tappa dapprima ad Atene, dove un ostaggio italiano venne giustiziato e, successivamente a Damasco da dove, dopo il rifornimento, ripartì verso Kuwait city, meta ultima dei terroristi che garantì loro una via alternativa a processi e detenzione in Europa per i crimini commessi in favore di una loro spontanea consegna alla polizia kuwaitiana.
Nonostante il pesante bilancio per il nostro Paese, il Governo non ritenne di dover insistere sulla consegna dei terroristi palestinesi arrestati anche per non correre il rischio di incorrere in ulteriori spargimenti di sangue sul territorio nazionale.
Nel 1976, tre palestinesi vengono arrestati a Fiumicino poichè trovati in possesso di pistole e bombe a mano, condannati a sette anni, ma improvvidamente scarcerati 20 giorni dopo e inviati in Libia.
La vicenda dei lanciamissili
il 7 novembre 1979 Giorgio Baumgartner, militante di Autonomia Operaia nel collettivo Policlinico e medico della clinica ortopedica dell’Università di Roma, viene contattato telefonicamente da un certo Fausto, esponente del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP). I due si conoscono bene, avendo collaborato più volte per l’invio di aiuti umanitari diretti ai campi profughi palestinesi.
Giorgio organizza con Fausto il recupero urgente di una fantomatica “cassa” che ignoti hanno depositato sul tratto autostradale Roma-Pescara e che deve essere recapitata ad Ortona (CH). I due decidono di avvalersi dell’aiuto di due compagni del Collettivo romano di Via dei Volsci, Daniele Pifano e Luciano Nieri e con loro si avviano in autostrada a bordo di un camper e di una Fiat 500. Recuperata la grossa cassa giungono ad Ortona, nella piazza centrale dove avrebbero dovuto effettuare un trasbordo del materiale su un altra auto che doveva raggiungere un porto del sud Italia per imbarcarsi verso il Medio Oriente e consegnare i missili alla resistenza palestinese.
La presenza del gruppo insospettisce un metronotte, memore di una rapina avvenuta nella banca situata nella piazza pochi giorni prima, che provvede a chiamare i Carabinieri.
A questo punto i militari provvedono alla perquisizione degli automezzi e, a bordo del camper, rinvengono la cassa contenente due lanciamissili SA-7 Strela. Segue il fermo dei quattro che vengono accompagnati in caserma, dove viene accertato che il fantomatico “Fausto” altri non è che il giordano Saleh Abu Anzeh, militante del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina e dell’organizzazione Separat, incaricato di gestire lo scambio dei lanciamissili.
Saleh Abu Anzeh, studente iscritto all’università di Bologna, era il responsabile per l’Europa dell’ala militare del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina e, anche durante il sequestro Moro, fu il contatto prescelto dal Colonnello Stefano Giovannone, capo-centro del Sismi a Beirut, per intercedere presso le Brigate Rosse affinché lo statista fosse liberato.
Il 14 novembre 1979, a seguito del suo arresto, i carabinieri perquisiscono la casa bolognese di Saleh, dove rinvengono un biglietto con un nome, Stefano, e il numero di telefono di Giovannone.
L’Ufficiale del Sismi è tra i pochi a sapere che proprio Saleh è il responsabile del Fronte popolare per la liberazione della Palestina in Italia, e che egli opera a stretto contatto con il terrorista-mercenario Ilich Sanchez Ramirez, meglio noto come Carlos lo Sciacallo.
Il 14 gennaio 1980 dopo svariati rinvii, iniziò ufficialmente il processo ai quattro e per mano dell’avvocato Mauro Mellini, venne resa nota la smentita ufficiale del FPLP alle innumerevoli ipotesi che erano state avanzate dopo il 7 novembre sull’eventuale utilizzo dei lanciamissili in Italia.
Il comunicato assicurava che “i missili erano di proprietà del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, che si trattava di missili inefficienti, che non era mai stato previsto un loro utilizzo in territorio italiano e che queste informazioni erano state condivise con il Governo italiano”. Inoltre, si chiedeva l’immediata liberazione dei quattro.
La sentenza definitiva fu emessa il 25 gennaio e decretò la condanna dei quattro imputati a sette anni di reclusione mentre, nel processo di appello, svoltosi a L’Aquila, venne successivamente sentenziata la riduzione delle condanne dai precedenti 7, a 5 anni di reclusione.
Il sequestro dei lanciamissili a Ostia nel 1973 e l’arresto di Saleh Abu Anzeh rappresentarono, comunque, una rottura degli accordi stipulati e, nel delirio di quegli anni, la vendetta dei palestinesi nei confronti di un’Italia da sempre (e a tutt’oggi) ventre molle dell’alleanza anti-terrore, era per gli stessi auspicabile.
Continua domani con il seguito….
***Nella foto in evidenza, Daniele Pifano, Giorgio Baumgartner, Luciano Nieri e Abu Anzeh Saleh