“Abbiamo dovuto cercare una mediazione, altrimenti questa legge non avrebbe mai visto la luce”. Emanuela Corda, deputata del M5S e firmataria del disegno di legge per istituire i sindacati militari, difende il lavoro svolto. Il testo sta per arrivare in Aula alla Camera, ma non mancano le polemiche.
La legge sui sindacati militari pare non sia gradita alle rappresentanze militari. Secondo lei perché?
“Credo si stia facendo molta confusione e si stia strumentalizzando l’argomento. Sento dire di questa legge cose assolutamente non veritiere. Non si sta invece dicendo che prima non c’era “assolutamente nulla” e se non ci fossimo intestarditi noi a dar seguito alla sentenza 120 della Corte Costituzionale, l’immobilismo avrebbe continuato a regnare sovrano. A volte mi sorge il dubbio che qualcuno auspichi proprio lo stallo perenne… sarà una mia impressione?”.
Sempre i Cocer sostengono di non esser stati ascoltati durante i lavori sul testo di cui lei è prima firmataria. È cosi?
“Questa è una grande falsità. Abbiamo ascoltato tutti. Nessuno escluso. Abbiamo fatto tantissime audizioni e persino incontri informali alla Camera. Ricordo benissimo l’ultimo di questi incontri che durò svariate ore ed erano presenti sia i rappresentanti delle neo costituite associazioni militari a carattere sindacale che i Cocer”.
Tra le critiche più aspre, quella che riguarda una presunta carenza nei contenuti riguardo le tutele, i diritti e la possibilità di far crescere il mondo sindacale militare. Cosa risponde a riguardo?
“A tal proposito ritengo che la legge vada innanzitutto letta “per bene”, perché abbiamo introdotto norme che vanno nella direzione opposta rispetto a tali critiche. Bisogna leggere il testo nel suo complesso, non soffermarsi sulle cose che non piacciono”.
Anche l’attribuzione della competenza delle eventuali condotte antisindacali delle Amministrazioni militari al Tar, anziché al giudice del lavoro, ha destato non poche perplessità….
“Su questo punto non abbiamo mai fatto mistero del fatto che il Movimento 5 Stelle avesse una posizione diversa. Tutti sanno che già con il precedente governo presentammo un emendamento per assegnare la giurisdizione al giudice del lavoro. Fu il motivo per il quale si ritornò in commissione e si riaprirono le audizioni. Tuttavia, ad oggi la nostra posizione è rimasta isolata. Per far passare una linea occorre una maggioranza in Parlamento e su questo punto la nostra posizione non converge con le altre forze politiche. Abbiamo dovuto cercare una mediazione, altrimenti questa legge non avrebbe mai visto la luce. Questa domanda andrebbe fatta ad altre forze politiche”.
È arrivata anche l’accusa che vorrebbe la politica al “guinzaglio dei generali” per annacquare la legge sui sindacati in favore del mantenimento dello status quo. Come commenta queste accuse?
“È un’accusa che non ci tocca minimamente. Noi abbiamo agito in piena trasparenza e onestà, cercando di dare una cornice normativa che venisse incontro al dispositivo della sentenza e al contempo alle esigenze del comparto. Altrimenti sarebbe stato il caos. Senza una legge, i sindacati militari, benché già riconosciuti, non potrebbero operare. Resterebbe in piedi la Rappresentanza Militare in pieno conflitto tra le due realtà. Con la nostra legge invece, si supererà tale conflitto e i sindacati potranno sedersi al tavolo della contrattazione; il che rappresenta una assoluta novità considerato che prima si parlava di mera concertazione”.
Ci sono ancora margini per apportare modifiche al testo di legge per giungere ad un compromesso con le rappresentanze sindacali?
“Il problema non è raggiungere un compromesso con le rappresentanze sindacali. Le leggi le fa il Parlamento. Si ascoltano i cittadini, si fanno le audizioni e si ragiona su ciò che è giusto e si può realisticamente fare. Ma servono “numeri” in Parlamento e le convergenze con gli altri gruppi politici per approvare le leggi e le relative modifiche. Noi, ripeto, stiamo lavorando per approvare la miglior legge possibile, ma non dipenderà solo da noi. Il Parlamento è sovrano e l’ultima decisione spetterà ad esso. Si chiama ‘democrazia'”.