Onorevole Gianluca Rospi, dissidente Cinque Stelle oggi al gruppo misto della Camera, in questi giorni si parla molto di reddito di cittadinanza. Lo stesso Beppe Grillo parla addirittura di Reddito Universale. Come ex M5S cosa ne pensa? Può essere una valida soluzione o la ritiene una misura assistenzialista?
“Non è con l’assistenzialismo che l’Italia potrà ripartire. Dobbiamo ridare dignità alle persone, partendo dal lavoro come scritto anche nel art. 1 della nostra Costituzione. Lo stesso reddito di cittadinanza, che doveva essere una misura di accesso al mondo del lavoro, è stata declinata talmente male che oggi si è rivelato un fallimento. Questo perché si è pensato a lanciare lo slogan senza aver costruito l’infrastruttura per accedere nel mondo del lavoro. Per questi motivi il Reddito Universale non è la soluzione. L’obiettivo della politica è garantire posti di lavoro sicuri e dignitosi per i cittadini. Non possiamo più tollerare che i nostri giovani, dopo averli formati, emigrino all’estero per trovare lavoro. Basta con le miserie date alle famiglie come gli 80 euro al mese, le famiglie vogliono che i loro figli abbiano l’opportunità in maniera meritocratica di trovare un posto di lavoro nel proprio Paese. Nessun cambio di regole e nessun incentivo, da soli, potranno far ripartire l’occupazione e ridare valore al lavoro. Assisteremo, come è accaduto e continua a succedere, ai vani proclami dei governi se non si avrà il coraggio di restituire alle parti sociali il ruolo-chiave che è loro proprio, ovvero di soggetti attivi nella definizione delle regole e delle politiche del lavoro e degli equilibri che presiedono alla loro più efficace determinazione. Un ruolo che richiede una responsabilità più forte e aperta delle stesse associazioni dei lavoratori e delle imprese. La via maestra del nuovo lavoro passa, dunque, da una reale partecipazione dei cittadini alla vita e ai risultati dell’impresa”.
Superata l’emergenza sanitaria ne avremo un’altra economica. Quali azioni dovremmo intraprendere per non trovarci impreparati? Per agevolare la ripresa economica quali misure fiscali propone?
“La pandemia Covid-19 è senza dubbio da considerarsi la più grande crisi dal dopoguerra ad oggi. L’emergenza, nata come sanitaria e immediatamente trasformatasi in emergenza economica, ha già prodotto sul sistema produttivo una drastica caduta che porterà in molti casi ad una cessazione definitiva della attività se non si interviene subito. Se non pensiamo subito alle azioni da intraprendere rischiamo di farci trovare impreparati come è stato con l’emergenza Covid-19 e allora rischieremmo di entrare in una depressione economica da cui sarà difficile uscirne nel breve periodo. A mio avviso bisogna lavorare già a un cronoprogramma su come riaprire il Paese. Inutile prendere in giro i cittadini, non ci sarà nessun vaccino prima del 2022, quindi dobbiamo imparare a convivere con il virus, convivere però in maniera intelligente. Questo vuol dire che almeno fino a settembre dobbiamo mantenere le misure di distaccamento sociale: un metro di distanza tra le persone, evitare gli assembramenti e poi l’utilizzo di tutti i dispositivi di protezione negli ambienti di lavoro. In questa fase di emergenza, che penso si prolunghi almeno fino a maggio-giugno, lo Stato deve distribuire i soldi a tutti, senza distinzione, partendo dai più bisognosi e dalle fasce più deboli, e tutelare le nostre imprese, che siano piccole o grandi. Tutto questo deve avvenire in maniera semplice e senza burocrazia. In Germania basta una domanda, inviata anche online, e dopo massimo due settimane lo Stato accredita sul conto corrente le somme del sussidio di emergenza che vanno dai 2.500 euro di Amburgo ai 5.000 euro di Monaco. Quindi vanno aumentati i 600 euro distribuiti alle partite IVA. Nel frattempo occorre pensare già a quali azioni intraprendere per rilanciare l’economia. Cosa farei io? Beh, anzitutto le chiedo come si può pensare di rilanciare l’economia senza sburocratizzare e semplificare il sistema Italia. Sono anni che se ne parla e mai nessuno ha messo mani; bene è arrivato il momento. Varare un Decreto o approvare una legge sono atti che posso compiersi anche in tempi relativamente brevi. Ma se poi le misure varate non provocano effetti immediati, per via della burocrazia, allora si può anche varare una buona norma ma dobbiamo essere consapevoli che potrebbe essere fallimentare. Basti pensare che la “mala burocrazia” italiana costa al sistema delle Pmi italiane 31 miliardi di euro ogni anno. Penso al codice degli appalti che ha complicato il sistema delle gare in Italia, producendo caos tra le imprese e la paura del fare tra gli amministratori”.
Molti in questi giorni hanno elogiato il ‘Modello Genova’ di cui lei è stato relatore nel decreto. Questo modello è applicabile alle opere pubbliche che tuttora in Italia sono bloccate? Ritiene che possa essere un mezzo utile per lo sblocca-cantieri?
“Quando abbiamo costruito il Decreto Genova ci siamo posti come obiettivo quello di realizzare uno strumento legislativo ed efficace, che consentisse di semplificare le procedure amministrative garantendo nello stesso tempo qualità, sicurezza e velocità nell’esecuzione. Penso che il risultato la città di Genova lo sta ottenendo, e mi fa anche piacere sentire che chi criticava quel decreto ha cambiato idea. Il Modello Genova è stato usato per un’emergenza, oggi ci troviamo di fronte ad un’altra emergenza, più disastrosa. Secondo me può essere una buona base di partenza per costruire un provvedimento che guardi a tutti i cantieri edili che da anni attendono l’avvio. Resta chiaro, però, la mia idea è quella di snellire il codice degli appalti, avere un sistema Stato che svolge la funzione di solo organo controllore demandando la totale responsabilità dell’opera ai professionisti, mediante un sistema di autocertificazione e non di autorizzazione, incrementando così il loro ruolo di supporto alla PA e aumentando l’efficienza dello Stato. Occorre anche dire che in Italia abbiamo una lista delle opere bloccate ancora lunghissima: più di 700 opere per un totale di oltre 70 mld, e che le imprese imprese sopportano un costo di oltre 55 miliardi (oltre 3 punti di Pil) solo per la gestione dei rapporti con la Pa”.
Lei ha dichiarato che per far ripartire l’economia occorre ripartire dal settore delle costruzioni. Si parla anche di un piano shock per le infrastrutture. Cosa intende?
“Il settore delle costruzioni rappresenta in Italia circa il 10% del PIL. Inoltre, considerando la lunga filiera che collega il settore delle costruzioni a oltre l’80% degli altri settori economici. Prima dell’emergenza sanitaria gli investimenti attesi per il 2020 ammontavano ad oltre 140 miliardi di euro (Fonte Cresme). Con l’emergenza sanitaria in atto, ad oggi è stata stimata una perdita di circa 31 miliardi. A tutto ciò vanno aggiunti 62 miliardi di opere pubbliche bloccate, i cantieri infrastrutturali che aspetta il Paese da anni. Ripartire da qui significa permettere al paese di rialzarsi in maniera più celere. Inoltre, i cantieri edili sono lavorazioni che vengono fatte in ambienti aperti e areati, quindi meno a rischio, e dove gli operatori sono già abituati ad eseguire le opere indossando i dispositivi di protezione individuale”.
Il Movimento 5 Stelle sembra non avere sempre le idee chiare in fatto di proposte per il rilancio dell’economia nel Paese. Penso al Tav, all’Ilva e così via. Ha perso la sua verve o si trattava solo di slogan?
“L’errore fatto dal MoVimento a mio avviso non è stato in campagna elettorale. A marzo 2018 nessuno aveva visto i dossier Tav o Ilva. Il MoVimento ha sbagliato, a mio avviso, perché ha continuato la politica dello slogan anche quando è andato al governo. Quando si è la prima forza nel Paese bisogna risolvere i problemi della gente. Agli slogan vanno anteposti i contenuti. Purtroppo oggi stiamo vivendo una crisi multisettoriale prodotta dall’incapacità di gran parte della classe politica di progettare soluzioni non utilizzando le migliori energie e potenzialità presenti nel Paese. L’elevato e insostenibile livello di litigiosità raggiunto e l’assenza di un dialogo serio e costruttivo ne sono la riprova. Oggi più che mai per rilanciare il Paese bisogna abbattere le barriere ideologiche e di partito per scommettere umilmente, tutti insieme, sulla realizzazione di nuove opportunità per il Paese”.
Lei, materano doc, sta promuovendo la prevenzione da Covid-19 nella sua Regione, la Basilicata, tramite video sui social. In generale in tutto il sud Italia deve puntare sulla prevenzione visto l’enorme rischio di innumerevoli contagi e il numero inferiore, rispetto al nord, di strutture sanitarie e apparecchi specialistici in grado di curare i malati. Questa crisi servirà a smuovere un po’ le acque affinché nel Mezzogiorno sia approntato un serio piano per la sanità?
“Penso che, una volta superata questa crisi, dovremmo avviare una Commissione d’inchiesta parlamentare; dopo aver superato abbondantemente quota 12.000 decessi mi sembra un atto dovuto. Anche per capire se dovevamo muoverci prima visto che già a gennaio in Italia ci sono stati diversi casi di polmoniti sospette. Il dato certo di oggi è che in Italia abbiamo un Servizio Sanitario di eccellenza, perché garantisce a tutti cura e assistenza, per la preparazione e professionalità dei nostri medici e infermieri, ma lo è molto meno sotto il profilo gestionale, anche perché i governi negli ultimi 10 anni hanno fatto diversi tagli nel bilancio della sanità. Basti pensare che a fine febbraio l’Italia disponeva di 8,58 posti di terapia intensiva ogni 100 mila abitanti contro i 29,1 della Germania. Per fortuna la pandemia non ha avuto un’esplosione nel sud Italia analoga al nord, perché altrimenti rischiavamo di raddoppiare il numero delle vittime considerata la fragilità del sistema sanitario del Mezzogiorno. Mi auguro che superata questa crisi la politica cambi il paradigma culturale di approccio ai problemi, mettendo al centro dello sviluppo economico l’uomo e non più il mondo della finanza globale”.
Possiamo parlare quasi di ‘anno 0’ per l’economia. A questo punto quali potrebbero essere le soluzioni per un rilancio serio e concreto del Sud Italia in modo tale da colmare il gap con il Nord?
“Come dopo la Peste nera durante il Rinascimento o come dopo la seconda guerra mondiale, quando ci fu la ripresa dell’Italia e dell’Europa. Anche questa volta ne usciremo, siamo un popolo resiliente soprattutto quello meridionale, abituato a combattere. Occorre ora realizzare, al più presto, un cronoprogramma di come e quando far ripartire l’economia. L’ho detto prima, io partirei dai cantieri edili e da tutte quelle lavorazioni in ambienti aperti e areati meno a rischio. Penso che dopo la settimana Santa, potremmo già pensare di ripartire in questi settori. Subito dopo potrebbero aprire le aziende strategiche e tutte le fabbriche del comparto meccanico e della filiera dell’edilizia. Poi tutte le attività artigianali. Poi, nel mese di giugno, quelle commerciali, mantenendo la distanza di un metro e dell’affollamento massimo. Infine, le attività di ristorazione, i bar e le discoteche. Anche al lavoro mandiamo prima le persone più giovani, abbiamo visto che sotto i 40 anni si è meno esposte. Possiamo anche pensare di far ripartire prima il Sud Italia, dove la pandemia ha avuto un’evoluzione più controllata. Ormai lo dico da tempo: il futuro dell’Europa è il Mediterraneo. Poi cogliamo, da questa crisi, l’opportunità di ribaltare la logistica europea. L’Italia, ma soprattutto il Sud, può diventare la piattaforma logistica del sud Europa per le merci da e verso l’Africa e l’Oriente. Solo così potremo superare le divisioni geografiche e esistenziali tra Nord e Sud e rinascere come Italia ed Europa, mettendo a sistema i nostri porti e aeroporti, partendo dal Sud Italia. Penso ai porti di Gioia Tauro e Taranto e gli aeroporti di Grottaglie e Crotone. Insieme, avrebbero una capacità di attrazione delle merci di gran lunga superiore al porto di Rotterdam. Con queste soluzioni si creano aspettative e posti di lavoro e il sud diventa attrattivo anche per i giovani che oggi sono costretti ad emigrare”.