Di James Foley non c’era ancora nessuna notizia. La Bbc continuava a trasmettere la foto del reporter statunitense rapito dallo Stato islamico non essendo, però, in grado di offrire buone notizie sulle trattative per il rilascio. Era il 13 agosto del 2014, frequentavo la London School of Journalism e sembrava che la storia avesse deciso di passarmi a un metro di distanza.
Quel pomeriggio plumbeo, ad Oxford Street, un nutrito gruppo di uomini con in mano dei volantini di colore scuro cominciano ad entrare per i negozi affollati del corso. Nello spazio fra Piccadilly Circus e Oxford Street il traffico era assordante e smetteva di esserlo solo nei brevi istanti che passano da un semaforo rosso a uno verde. Fra le mani delle migliaia di turisti che calpestano i marciapiedi inizia a girare un volantino di colore scuro, che inneggia al jihad e su cui c’è scritto: “L’alba di una nuova era è cominciata”. Sul retro dello stampato campeggiano sette punti, le istruzioni da seguire, e quattro stralci del Corano. L’invito è chiaro: abbandonare l’Europa per aderire al neo-proclamato Stato islamico, obbedire al Califfato secondo la legge della Shariah ed educare anche i non musulmani agli insegnamenti di Daesh.
Gli obiettivi della propaganda sono proprio i negozianti e le attività commerciali di Oxford Street. E non è un caso: la vita notturna di Piccadilly, quella che muove milioni di sterline di indotto, è gestita da 25-30enni provenienti da Egitto, Pakistan e India. La concentrazione di musulmani nelle attività commerciali dell’area più posh di Londra è molto alta.
Poche ore dopo Scotland Yard annuncerà che l’identikit dei ragazzi di fede islamica autori del volantinaggio è stato diffuso sui social.
Faccio ritorno a casa, direzione Maida Vale. Scendendo le scale della metropolitana, a Piccadilly uno strillone mi porge la ribattuta dell’Evening Standard, il free press più letto nei caldi vagoni dei treni, all’interno dei quali il volto del sindaco Boris Johnson consiglia di idratarsi per evitare malori.
Passa meno di una settimana e la tuta arancione di James Foley diventa la veste di un martire dell’informazione. La chiesa di Saint Bride a Fleet Street, tempio del giornalismo d’oltremanica, accende una candela in suo ricordo. Dal volantinaggio indisturbato di pochi giorni prima la linea di Scotland Yard prende una brusca virata: è vietata in ogni modo la propaganda in favore dello Stato islamico. Il video dell’esecuzione è bandito dai social. La voce del tagliagole suona familiare all’intelligence britannica: si tratta di Muhammad Jassim Abdulkarim Olayan al-Dhafiri, più noto alle cronache come Jihadi John, kuwaitiano e naturalizzato cittadino britannico, residente a Maida Vale, a due isolati dal mio appartamento.
La casa di Jihadi John è un via vai di reporter di tutte le testate nazionali e internazionali. Le tende delle finestre della villetta a schiera sono abbassate, i genitori del boia di James Foley non rilasciano dichiarazioni. Preferiscono la riservatezza della West Lodon, lontano dal traffico del centro.
Oggi a Maida Vale le tende dell’ex casa al-Dhafiri sono ancora abbassate. La culla dell’infanzia di Jihadi John è stata affittata per 3mila sterline al mese.