Colpo di scena in Europa sul 5G. Il Commissario europeo per il mercato interno e i servizi, Thierry Breton, ha dichiarato ieri da Parigi la posizione dell’Europa in ordine ai fornitori tecnologici extra-Ue sulle reti di quinta generazione. A tal riguardo Breton, fugando ogni dubbio interpretativo, ha evidenziato la disponibilità dell’Europa ad accogliere nel mercato comune la tecnologia fornita da paesi estranei al blocco Ue, con particolare riguardo ai fornitori cinesi, escludendo pertanto le più volte paventate ipotesi di veti o approcci comunque preclusivi.
Ha altresì precisato che l’Ue pubblicherà entro la fine del mese di gennaio anche delle raccomandazioni sui criteri per l’adozione delle tecnologie di quinta generazione, che terranno conto delle valutazioni dei rischi già eseguite in ciascuno Stato membro e meglio dettagliate nella relazione sulla valutazione coordinata pubblicata lo scorso mese di ottobre con il supporto della Commissione Ue ed Enisa.
La posizione dell’Europa, per la verità, sorprende non poco, anche in considerazione dell’orientamento e delle perplessità sollevate da molti governi nazionali, soprattutto in relazione ai fornitori cinesi. E sorprende soprattutto perché nella prima settimana di dicembre si riunivano a Bruxelles i Ministri delle comunicazioni dell’Ue per discutere su come salvaguardare le emergenti reti wireless di quinta generazione, evidenziando quanto fosse di fondamentale importanza che i paesi europei non dessero il controllo della propria infrastruttura critica ai giganti della tecnologia cinese come Huawei o ZTE .
È noto, infatti, che il colosso cinese Huawei mantiene saldi collegamenti con l’Esercito popolare cinese di liberazione ed ha nebulosi coinvolgimenti tanto in vicende di spionaggio nella Repubblica Ceca, in Polonia e nei Paesi Bassi, quanto in presunti trafugamenti di proprietà intellettuale da concorrenti stranieri in Germania, Israele, Regno Unito e Stati Uniti ed è altresì accusato di corruzione in Algeria, Belgio e Sierra Leone.
A questo si aggiunga che, secondo fonti del Wall Street Journal, l’Azienda di Shenzhen, che nega vigorosamente, avrebbe ricevuto ingenti benefici, tra sgravi fiscali e prestiti agevolati, dal governo cinese, e con oltre 75 miliardi di euro avrebbe acquisito una posizione dominante sul mercato.
In Italia, si ricorderà la recente relazione alle Camere in cui il Copasir ha dichiarato di ritenere “fondate” le preoccupazioni sul coinvolgimento di aziende e tecnologie cinesi nello sviluppo della rete 5G. Tale coinvolgimento veniva, tra l’altro, ritenuto potenzialmente rischioso per la sicurezza nazionale, al punto da suggerire l’esclusione dei fornitori in questione. In particolare, in punto di protezione cibernetica e sulla sicurezza informatica, il Comitato così si esprimeva testualmente: “Non si può che ritenere in gran parte fondate le preoccupazioni circa l’ingresso delle aziende cinesi nelle attività di installazione, configurazione e mantenimento delle infrastrutture delle reti 5G. Conseguentemente, oltre a ritenere necessario un innalzamento degli standard di sicurezza idonei per accedere alla implementazione di tali infrastrutture, rileva che si dovrebbe valutare anche l’ipotesi, ove necessario per tutelare la sicurezza nazionale, di escludere le predette aziende dalla attività di fornitura di tecnologia per le reti 5G”.
Di diverso avviso il Premier Conte, che pur dichiarando di tenere in debito conto della relazione del Copasir, evidenzia che “in qualunque momento si ha facoltà di esercitare il potere per tutelare la sicurezza nazionale e negare autorizzazioni a operazioni societarie e installazioni di tecnologie che mettano in pericolo la sicurezza del Paese. E, più specificamente, sulla questione del 5G, precisava di non potere escludere aprioristicamente singoli operatori. In linea con il Premier italiano anche il ministro per lo Sviluppo Economico Patuanelli secondo il quale non può escludersi un possibile ruolo della società cinese nel nostro Paese nel campo delle infrastrutture di rete di nuova generazione.
Eppure, nel primo Consiglio dei Ministri di settembre il nuovo esecutivo nazionale, su proposta proprio del nuovo ministro allo Sviluppo Economico Patuanelli, ha deliberato l’esercizio dei poteri speciali (golden power) in ordine all’acquisto di beni, servizi e componenti radio relativi alle tecnologie 5G di cui all’informativa ai sensi di legge notificata dalle società Linkem, Vodafone, Tim, Wind Tre e Fastweb con indirette ricadute sui colossi cinesi Huawei e Zte.
Intanto, il Governo tedesco non ha ancora deciso ed anzi è diviso sulla decisione prossima sul ruolo del colosso cinese Huawei nell’infrastruttura 5G del Paese. Sulla questione pesa anche la recente indagine di spionaggio di ascritta matrice cinese che vede coinvolto un ex diplomatico dell’Unione europea.
Del resto, era stato profetico anche Timotheus Hoettges, Ceo di Deutsche Telekom, che in tempi non sospetti evidenziava che per lo sviluppo del 5G in Europa è certamente necessario definire standard di sicurezza che proteggano l’accesso ai dati, precisando tuttavia che per la fornitura degli strumenti tecnologici non si potrà prescindere da un mercato globale inclusivo anche delle imprese cinesi e sudcoreane.
Malgrado la Brexit, sembra allinearsi anche il Regno Unito, che entro la fine di gennaio dovrà prendere una decisione in merito. Gli Stati Uniti stanno insistendo nella “moral suasion” anti-cinesi ed hanno anche inviato al governo britannico un dossier contenente l’evidenza dei rischi per la sicurezza nelle comunicazioni tra i due Paesi con una conclusione che non si presta ad equivoci: “Sarebbe una follia” usare le tecnologie cinesi nella rete 5G. Anche in questo caso, analogamente al “caso italiano”, l’intelligence britannica è contraria ad affidare ai cinesi la tecnologia 5G ma il governo è anche qui evidentemente di diverso avviso. Insomma, mentre gli Usa si dimenano in chiave anti-cinese, tra protezionismo ed intelligence con accuse nemmeno tanto velate a Huawei di spionaggio, corruzione e repressione dei diritti umani, l’Europa si disallinea platealmente dalla strategia politica americana. Eppure, in una recente dichiarazione, il Segretario di Stato Mike Pompeo aveva lasciato intendere che una eventuale condotta “permissiva” dell’Europa potrebbe essere foriera di una incrinatura delle relazioni tra Ue e Stati Uniti. A tal proposito, ha evidenziato Pompeo, che gli Stati Uniti “rispettano il diritto di ogni nazione a definire la propria politica sulle tecnologie e a decidere il modo in cui proteggere i propri cittadini. Ma la nostra amicizia e le alleanze con gli Stati europei, edificate su un comune amore per la libertà, richiedono che noi solleviamo queste preoccupazioni quando ci accorgiamo di minacce alla nostra sicurezza comune”.
Ovviamente Huawei ha sempre rispedito al mittente le accuse americane, tacciandole di malizia e faziosità ed evidenziando di essere il partner naturale dell’Europa per lo sviluppo del 5G e per sostenere la sovranità digitale. Per Huawei l’approccio corretto al tema del 5G è piuttosto quello basato sui fatti obiettivi e, secondo Detlef Eckert, vicepresidente e responsabile per le politiche globali di Huawei, “si attenderà con ansia la presentazione della ‘cassetta degli attrezzi’ dell’Ue per la sicurezza del 5G rispetto alla quale ci si aspetta l’inclusione di azioni sull’intero ecosistema della telefonia mobile, inclusi gli operatori, i fornitori di servizi e le autorità, poiché si crede che il piano della Commissione Ue sul 5G creerà un terreno comune per la costruzione di una rete di connessione di nuova generazione”. Secondo Huawei, infatti, il 2020 sarà l’anno del 5G in Europa in quanto “il raggiungimento della leadership europea per il 5G richiederà una maggiore fiducia, una collaborazione globale e standard di sicurezza comuni”. A tal proposito, ha dichiarato Abraham Liu, direttore dell’ufficio di rappresentanza di Huawei, “i Paesi che non opteranno per l’applicazione del 5G resteranno indietro. Offerte commerciali per la rete 5G sono già presenti in 11 Paesi Ue, fra cui l’Italia”.
L’eco degli Usa suona per l’Ue anche qui con un monito del segretario Stato americano, Mike Pompeo, che continua a ripetere che “l’Europa deve avvalersi di tecnologie europee, attraverso il ricorso ad aziende come Ericsson e Nokia che producono apparecchiature 5G di alta qualità a prezzi competitivi e, soprattutto, sono competitors legittimi che hanno sede in democrazie e rispettano lo stato di diritto”. Sulla vicenda anche il Ceo di Ericsson si è espresso evidenziando che le tensioni geopolitiche che coinvolgono il colosso cinese di Huawei stanno “creando incertezza nel mercato”, soffermandosi poi sulla confutazione del presunto primato del colosso cinese.
Intanto, per non farci mancare nulla, il Copasir, coerentemente con quanto già espressamente dichiarato nella relazione alle Camere, ha esortato l’intelligence a “verificare l’uso che il governo della Cina fa dei dati sensibili degli utenti italiani iscritti su TikTok”.
Evidentemente sussiste ancora più di un dubbio sulla bontà del “vento cinese” e, se è vero che l’Europa detterà delle regole comuni, è anche vero che a ciascuno Stato membro non sarà precluso adottare misure “in pejus”, maggiormente restrittive rispetto alle raccomandazioni europee.
Chissà se il Governo italiano terrà realmente conto delle concrete preoccupazioni del Copasir, nonché dei suggerimenti dell’alleato americano, oppure manterrà una posizione formalmente filoeuropea che tuttavia non dispiaccia Pechino. Del resto, tenuto conto della sterile gestione di una crisi internazionale, è difficilmente ipotizzabile una presa di posizione sovranista.