Registra più visitatori il sito archeologico abbandonato e chiuso che il recente museo costato migliaia di euro ed aperto tutti i giorni. Succede a Sarno, un grosso centro della provincia di Salerno, dove i resti di uno dei più bei esempi di architettura ellenistica e di un’area di culto risalenti al III – IV secolo A.C. (con un teatro tra i più studiati sui manuali di archeologia), vive un profondo stato di abbandono. Pur se stretto tra rifiuti e un’area industriale, riesce ad attirare centinaia di curiosi e studiosi costretti ad ammirarlo dalle feritoie di un’inferriata arrugginita. Un paradosso se si tiene conto che a pochi chilometri, nel centro cittadino, si trova un museo archeologico nazionale, che seppur aperto tutti i giorni e con personale dipendente, si limita ad accogliere qualche scolaresca all’anno. In Campania, da Napoli a Caserta passando per Benevento, Avellino e Salerno, è un susseguirsi continuo di siti archeologici in stato di abbandono. È così anche per la vicina necropoli pelagica, in parte sepolta a San Marzano sul Sarno, per gli eccezionali resti di un complesso di palafitte preistoriche in frazione Longola a Poggiomarino e a pochi chilometri la necropoli ed il teatro romano di Nuceria Alfaterna. Paradossi che dipendono da diversi fattori. Alle continue campagne di scavi che si sono succedute negli anni, non sono seguite attività di tutela e gestione di questi siti culturali stretti da urbanizzazioni selvagge, carico antropico è un diffuso disinteresse degli enti coinvolti. E’ complicato per la Sovrintendenza garantire aperture né pare funzionare la collaborazione pubblico-privat0. Il caso di Sarno é stato anche oggetto di interrogazioni parlamentari, ma al momento senza alcun esito.
Il sito archeologico di Sarno
Lo scavo si trova in località Foce, laddove il fiume Sarno ha origine e dove è presente l’importante luogo di culto dedicato a Santa Maria della Foce, a seguito di un traumatico sbancamento edificatorio, nel 1965 vennero alla luce i resti di un piccolo teatro, sovrapposto in maniera coordinata con un centro di culto del IV-III secolo a.C. Del santuario non è stata ancora trovata traccia anche se la sua presenza è attestata da una stipe votiva dalla quale si evince che il culto era destinato ad una divinità della fertilità, connesso presumibilmente con le sorgenti del Sarno. La tipologia del teatro ricorda quelle di Pietrabbondante e del teatro piccolo di Pompei ed è il risultato di diversi adeguamenti funzionali avvenuti su un impianto preesistente della fine del II sec. a.C. Le operazioni più radicali di rifacimento si ebbero fra il terremoto del 62 d.C. e la distruttiva eruzione vesuviana del 79 d.C. Dopo questo catastrofico evento il complesso si avviò, con molta probabilità, ad un lento ma irreversibile processo di decadimento ed abbandono. Dell’elegante cavea (“proedria”) a tre ordini si conservano alcuni sedili in blocchi di tufo grigio nocerino: particolari sono i sedili estremi che conservano parte dei braccioli (“diàzoma”) di separazione raffiguranti delle sfingi e dei leoni.La scena è particolarmente complessa con una fronte a cinque aperture. In essa sono visibili diversi segni dei rifacimenti che hanno caratterizzato l’edificio quali l’avanzamento del proscenio verso l’orchestra e le tompagnature di alcuni vani di apertura per riequilibrare il rapporto con la fronte della scena.