Al Qaeda e Isis, un dualismo che comporta un allargamento del fronte islamista e induce a credere in una contemporaneo ampliamento del bacino di adesioni al progetto della jihad globale. In un’ottica strettamente analitica, nel campo della lotta al terrorismo, vi sono due errori nei quali non bisogna incorrere: la sopravvalutazione delle forze “nemiche” o la loro sottovalutazione. Parimenti, lo stesso assioma è applicabile alle forze “amiche”, dove occorra una seria analisi delle tattiche di contrasto a una minaccia incombente.
Nel corso degli ultimi anni l’inflazione delle comunicazioni massmediatiche nel campo dell’informazione sul fenomeno jihadista, ha reso necessaria un’accelerazione nella valutazione di una notizia e nella diffusione della medesima. La spietata concorrenza esistente tra i grandi network dell’informazione in perenne rivalità con il web, ha provocato una lunga serie di adesioni alle teorie complottiste, generando una sorta di rivolta contro l’informazione generalizzata, sebbene questa, a priori, non possa e non debba essere considerata falsata.
Quella dei comunicatori dei due principali gruppi jihadisti, al Qaeda e l’Isis, è una strategia che ha posto in seria difficoltà l’intelligence mondiale. L’uso indiscriminato delle piattaforme di comunicazione telematica, con l’ampia possibilità di operare su una o più di esse, pone ostacoli evidenti alla localizzazione dei mittenti e alla loro identificazione. La prassi è ben nota ai cyber-jihadisti che sfruttano i vari canali ai fini del proselitismo, reclutamento, propaganda o rivendicazione.
Nel caso dell’Isis, o Daesh, si è assistito a un continuo proliferare di rivendicazioni non sempre realmente connesse ad azioni condotte da aderenti all’organizzazione, bensì a semplici simpatizzanti, lupi solitari o, addirittura, verso azioni che nulla hanno a che fare con la jihad intesa come “guerra totale” al mondo miscredente. Di fatto, l’inflazione di rivendicazioni, sigle, proclami e minacce, ha creato le condizioni affinché i jihadisti traggano vantaggio dal caos indotto sviluppando un programma di “tensione crescente” e generalizzata tra la popolazione e tra gli addetti ai lavori.
La rivendicazione
Lo Stato islamico ha di fatto capitalizzato l’attacco perpetrato a Londra, appropriandosene, come spesso accaduto, con una rivendicazione redatta con il linguaggio più congegnale all’Isis: autore, attacco, motivazione, rivendicazione. Usman Khan, l’attentatore del London Bridge, era schedato nel Regno Unito quale appartenente al network jihadista del defunto sheikh Oussama bin Laden. Indottrinato e seguace del famigerato Anjem Choudary, imam autoreferenziale schierato dapprima con al Qaeda ma successivamente transitato sulle posizioni dell’Isis, Usman Khan era parte attiva di un complotto, finalizzato a compiere attentati esplosivi nella capitale britannica e ad eliminare Boris Johnson, per il quale era incaricata una cellula di nove miliziani, (Mohammed Moksudur Chowdhury, Mohammed Shahjahan, Shah Mohammed Rahman, Mohibur Rahman, Gurukanth Desai, Abdul Malik Miah, Nazam Hussain, Omar Sharif Latif e, appunto, Usman Khan). Il gruppo venne bloccato nel 2012 e condannato a pene detentive di varia entità.
L’attacco, per quanto dato sapere, sarebbe stato pianificato dagli strateghi di al Qaeda impegnati nella ricostruzione del network dopo l’eliminazione del leader Oussama bin Laden. Ma Usman Khan, fedele ai principi della “Taqqyia” (la dissimulazione), si è sempre dichiarato innocente seppur non disdegnando di mantenere rapporti “a rischio” anche durante la sua detenzione. Proprio sulla scorta di queste frequentazioni potrebbe avere aderito alle posizioni dell’Isis, candidandosi al martirio in linea con i nuovi dettami dell’organizzazione che, per volere testamentario del defunto autoproclamato Califfo, Abu Bakr al Baghdadi, dovrebbe continuare a colpire l’Occidente con qualsiasi mezzo a disposizione, in piena autonomia operativa e compiendo azioni delocalizzate allo scopo di incutere ai miscredenti il timore di incorrere in una sorta di accerchiamento.
Le false cinture bomba
Così come già rilevato in precedenti attacchi, al London Bridge nel 2017, così come a Barcellona nello stesso anno, l’utilizzo di falsi “corpetti” esplosivi da parte di attentatori muniti di armi bianche, ha prodotto diversi risultati. In primo luogo, i falsi giubbetti bomba hanno preservato gli attaccanti dalla reazione delle vittime, attonite alla vista del congegno esplosivo; hanno consentito il prolungamento dell’azione omicidiaria rallentando l’intervento delle forze di sicurezza per la sussistenza della minaccia di un’esplosione; hanno provocato una sorta di autoimmolazione degli attentatori, quindi di un martirio, come ultimo gesto di fedeltà al giuramento prestato coinvolgendo l’opinione pubblica occidentale nella condanna dell’uccisione di un soggetto di fatto disarmato. Inoltre, la morte dell’attentatore priva le investigazioni successive dei necessari riscontri oggettivi sul medesimo che potrebbero essere rivelati dopo l’interrogatorio di rito.
Ma varrebbe la pena di soffermarsi più a lungo sul terzo punto: il martirio e il suo peso sull’opinione pubblica occidentale.
L’episodio del London Bridge del 29 novembre scorso, rappresenta un esempio lampante di quanto il pensiero corrente nei Paesi occidentali sia ben poco aderente alla realtà del nuovo vivere quotidiano imposta dai fanatici della jihad. La scena che si svolge sul ponte della City può essere riassunta in quattro fasi salienti: attacco, fuga, blocco, neutralizzazione. Nulla più.
Ma alcune menti eccelse, pur senza conoscere le motivazioni che hanno condotto gli agenti della Metropolitan Police ad aprire il fuoco contro “un uomo a terra ed inerme”, hanno inteso stigmatizzare il comportamento inumano della polizia londinese che avrebbe “giustiziato” o “assassinato” un soggetto già inoffensivo. A poco sono valse le spiegazioni relative ai rischi che il corpetto esplosivo, rivelatosi solo successivamente un falso, potesse essere innescato dal soggetto provocando una strage e le relative polemiche sull’operato poco incisivo della polizia. Ma tant’è.
Il 13 ottobre 1999, il vescovo di Smirne (Turchia), intervenendo durante la seconda assemblea speciale per l’Europa del sinodo dei Vescovi, ebbe modo di riferire: “Durante un incontro ufficiale sul dialogo islamo-cristiano, un autorevole personaggio musulmano, rivolgendosi ai partecipanti cristiani, disse a un certo punto con calma e sicurezza: ‘Grazie alle vostre leggi democratiche vi invaderemo; grazie alle nostre leggi religiose vi domineremo’. C’è da crederci, perché il dominio è già cominciato con i petrodollari, usati non per creare lavoro nei paesi poveri del Nord Africa e del Medio Oriente, ma per costruire moschee e centri culturali nei paesi dell’immigrazione islamica, compresa Roma, centro della cristianità. Come non vedere in tutto questo un chiaro programma di espansione e di riconquista? È un fatto che termini come ‘dialogo’, ‘giustizia’, ‘reciprocità’, o concetti come ‘diritti dell’uomo’, ‘democrazia’, hanno per i musulmani un significato completamente diverso dal nostro. Sappiamo tutti che bisogna distinguere la minoranza fanatica e violenta dalla maggioranza tranquilla e onesta, ma questa, ad un ordine dato in nome di Allah o del Corano, marcerà sempre compatta e senza esitazioni. La storia ci insegna che le minoranze decise riescono sempre ad imporsi alle maggioranze rinunciatarie e silenziose”.
Basterebbe questo a dimostrare quanto incolmabile sia l’abisso culturale che distanzia il nostro modo di vivere da quello che l’Islam e l’islamismo intenderebbero imporre.
L’esempio del London Bridge la dice lunga sull’inefficacia di qualsivoglia politica “buonista” a fronte di un avversario che la cavalca e la utilizza per colpirci in modo indiscriminato. Questo ci rende inermi a fronte di un’indebita appropriazione del nostro pensiero che ci viene riproposto privato di qualsiasi spessore e consapevolezza storica in chiave unicamente espansionistica da parte dei fanatici islamisti. Con il beneplacito dei “candidi di cuore”
Varrebbe la pena di ricordare una citazione dal Talmud, il testo sacro dell’ebraismo: “Se qualcuno viene per ucciderti tu alzati e uccidilo per primo”. Una “massima” perfettamente in linea con il pensiero che dovrebbe guidare una reale azione di contrasto a chi per la vita umana non nutre più alcun rispetto.