Il reddito di cittadinanza all’ex brigatista, Federica Saraceni, non piace al sindacato di Polizia Fsp. In una nota, il segretario generale Valter Mazzetti, interviene nel dibattito che ha coinvolto la brigatista condannata a 21 anni e 6 mesi per il delitto D’Antona e che oggi si trova ai domiciliari.
“Oltre a richiamare subito l’ovvio dovere morale che impone di garantire prima e sempre il rispetto per le vittime di atrocità come l’omicidio – dichiara – la vicenda della Saraceni fa nascere una considerazione che, brutalmente, può riassumersi in una domanda: lo Stato trova i soldi per sostenere una terrorista condannata per omicidio che non ha ancora pagato il suo debito con la società e non si è ravveduta, e non sta neanche in carcere ma ben protetta a casa sua ai domiciliari, e non trova i soldi per pagare l’onesto e sacrificato lavoro dei suoi servitori più fedeli? A ben vedere – aggiunge – la polemica sorta a proposito della brigatista Saraceni che percepisce il reddito di cittadinanza mette immediatamente in evidenza una realtà che, in effetti, è davvero spiacevole. E cioè che lo Stato attribuisce in qualche modo un beneficio, un sostegno particolare, una considerazione e una preoccupazione a chi ne ha calpestato le leggi e violentato la società, macchiandosi di un delitto gravissimo qual è l’omicidio, senza che questi abbia ancora scontato la propria condanna e senza che si sia mai pentito, a fronte di un impegno nei confronti di chi quello stesso Stato lo serve ogni giorno, come il personale in divisa, talmente carente che non vengono neppure pagate migliaia di ore di straordinario arretrato, né gli si garantisce un contratto di lavoro ormai scaduto da un anno”.
“Al di là di ogni considerazione tecnica sulla questione ‘reddito di cittadinanza’ qui, in linea di principio – conclude Mazzetti – c’è davvero qualcosa che stride fortemente con un normale e diffuso senso di equità e di opportunità. Le istituzioni, a nostro parere, dovrebbero dare una chiarissima testimonianza della propria lista di priorità; una lista in cui al primo posto devono obbligatoriamente venire le vittime di violenza e illegalità, come in questo caso i familiari del dott. D’Antona che subiranno a vita il dolore del lutto, poi chi serve lo Stato a costo di alti sacrifici, e non merita che ne si calpesti la dignità personale e professionale”.