Arresto a Napoli di Aleksandr Korshunov, manager russo, é un esempio di controspionaggio culturale.
Mentre la nostra attenzione era tutta proietta verso la nuova squadra per il governo italiano, è arrivata la notizia dell’arresto a Napoli di Aleksandr Korshunov, 57 anni, manager russo. Sin qui sembra una storia costruita ad hoc con titoli di spionaggio da film. Ma la cosa che è sfuggita a molti è stato da una parte l’utilizzo del termine “spia” nei vari articoli usciti e dell’altra come le parole di Putin siano arrivate puntuali e veloci celando una fuga di notizie senza precedenti. Soprattutto in Russia. “Arresto è un atto sleale”, dice lo zar russo nei confronti degli Usa che ha ratificato attraverso l’Interpol.
Analizziamo velocemente l’accaduto. Pare che Aleksandr si sia “meritato” il termine spia perché si creda abbia violato, rubato, copiato o trasmesso un segreto industriale (non rispondendo a nessun NDA o formula di riservatezza) che riguardava documenti di proprietà della General Electric per arricchire il programma russo PD-14, ovvero la creazione di un motore per l’aereo russo di medio raggio MC-S 21. Questo atto ha destato scalpore tale che gli Usa hanno passato l’ok all’Interpol che a sua volta ha definito tale arresto come “Classificato in Red Notice”, ovvero “Avviso Rosso”. Cioè, l’arresto è partito poiché rappresenta un pericolo per la reale possibilità che il russo potesse trasmettere le informazione al proprio paese trapassando tutti gli accordi internazionali su temi come brevetti e segreti industriali. Pertanto l’avviso diventa rosso perché tale possibilità è molto alta. L’Interpol condivide l’avviso e passa le informazioni a tutte le forze dell’ordine del mondo. In parole semplici si sono mosse, non so quante persone, per cercare il luogo in Italia dove si trovava la spia russa con la moglie per arrestarlo.
Riflettiamo proprio su questo e mettiamo un primo puntello alla vicenda: non si tratta solo di un’operazione di Intelligence (che forse c’è stata prima) ma (a prima vista) di un arresto per controspionaggio industriale dove c’è chi difende e chi attacca un brevetto, prodotto o tecnologia per valutarne opportunità, rischi e vulnerabilità. Quindi, non parliamo nemmeno di spionaggio che richiama un modo di operare unilaterale (ad esempio un’entità A spia un’altra B senza chi è spiato lo sappia). Se fosse stata solo una perfetta operazione di Intelligence, le nostre agenzie di stampa non l’avrebbero nemmeno battuta o si sarebbe gestita diversamente. Pertanto, trattasi di controspionaggio industriale. Non è nemmeno, come ho letto da qualche parte, spionaggio economico ma un controspionaggio industriale con ricadute (possibili) economiche.
La partita si gioca proprio qui. Se sei una spia e sei pagato o fai delle attività di raccolta informazioni hai una copertura e come tale se vieni scoperto o “rivelato” la tua attività si disperde tra le ipotesi varie e forse non sapremo mai il vero motivo o chi è quella persona. Quindi, più che giocare la stessa partita sui termini ad effetto dovremmo capire come va ridefinito oggi il termine troppo e abusato da molti di controspionaggio. Questo arresto fa paio con quello di qualche giorno fa di Anthony Levandowski, ingegnere accusato di rubare idee dalla sua ex ansie da Google per un accordo con la FCA, e dello scrittore australiano Yang Hengjun arrestato senza apparenti motivi dal governo cinese. Tutti e tre (ho preso in esame gli ultimi 3) ci fanno capire che è cambiato nel tempo proprio il termine “controspionaggio”. In effetti non si tratta più di un compito relegato solo a questioni politiche e terroristiche (in quel caso è più appropriato spionaggio) ma soprattutto ad attività informative in cui un’idea, una tecnologia, una scoperta possono cambiare il destino di una nazione. Utilizzo il termine controspionaggio proprio per questo motivo. Non si tratta di capire cosa fanno solo gli altri in questa direzione ma come anche la parte che è “attaccata” si difende. Capirne le vulnerabilità e decidere. Utilizzare anche la stampa e i media per questo. L’asse, pertanto, nel tempo del termine si è spostato da un profilo di controspionaggio proprio di un gruppo limitato di persone e poi di Nazioni, andando via via sempre più verso topic primari.
C’è una storia antica dietro: si passa dai pericoli della comunità egizia, dalle corti con i giullari all’attenzione alta verso terrorismo e beni primari, quali energia e ambiente. Oggi il termine e le attività si sono evolute sempre più verso beni di servizio ed immateriali. Per immateriali intendo quelle informazioni che generando dati, comunicazioni innovative sembrano essere sempre più destinate a prendersi lo scenario internazionale. Il controspionaggio si apre non più a persone addestrate a fare attività di raccolta informazioni ma anche a persone ed aziende private e pubbliche che sanno come gestire la raccolta dati, quei numeri ed algoritmi che fanno la differenza proprio per la possibilità di fare qualcosa di nuovo (vedi la guida autonoma per Levandowski) e di arrivare prima degli altri e dividersi prima i ricavi. Da qui il termine controspionaggio ha avuto un’evoluzione verso quello che mi piace pensare con il termine di controspionaggio culturale. Un tipo di attività che non si manifesta, si dirada o lichtung direbbe Heidegger, solo tra grandi gruppi ma anche nelle pieghe della società, nella cultura di tutti i giorni, tra inventori singoli o anche studenti con tesi interessanti o da studiosi che sono nelle aziende e sono anche più veloci delle aziende stesse. Questo concetto lo rafforza Putin nel suo attacco lapidario di cui parlavo all’inizio. Lo zar non parla più della notizia soffermandosi sulla persona ma la commenta nei confronti di una nazione. Lui da’ per scontato che si può utilizzare un arresto di una singola persona per definire i contorni di un confronto tra nazioni. Lo chiama un atto sleale. Abbina l’arresto con la possibilità, fornita da lui stesso su un piatto d’argento, che dietro ci sia per forza un complotto.
Come ha espresso Il Foglio un po’ di tempo fa, questa evoluzione di cui si parlava prima passa attraverso l’imbeccata che gli stessi “capi” di governo e nazioni danno ai media. Dimostrano loro prima di tutto, vedi la corsa al 5g di Usa e Cina e la strategia comunicativa precisa di Trump, che si sta passando da raccolta informazioni alla gestione delle informazioni. D’altronde questo lo storico Aldo Gianulli lo aveva già pronostico tempo fa con il libro “Come i servizi segreti utilizzano i media”(Ed. Ponte alle grazie 2012). Da un approccio segreto quasi esclusivo si passa ad uno inclusivo, ovvero di coinvolgimento più forte della società civile e del tessuto culturale che delle industrie per far vedere la luce dei segreti e utilizzare questa tecnica per pilotare le informazioni che vengono fuori da quel segreto stesso. Quest’ultimo si sposta sul terreno solido di scoperte scientifiche e nuove tecnologie per passare ai dati e alla prova di forza tra nazioni del chi “arriva prima”. In questa corsa “lo sconfitto” fa luce o sposta l’attenzione sul fatto accaduto per cercare di farsi meno male possibile e riattaccare dalle parti vulnerabili. Ma attenzione a non confondere, come ci ricorda l’eccellente parte dei nostri servizi informativi, questo gioco al primato con la vera Intelligence e con chi (civile o militare) detiene la sguardo che auspicava già Sherman Kent con il suo libro nel 1949, Strategic Intelligence for American World Policy edito della Princeton University Press. Per Kent l’analisi e la logica hanno comunque un valore primario e grazie alla sperimentazione di metodologie e tecniche analitiche di consolidamento di teorie possono vincere su ogni forma di spy story formula 007 preconfenzionata.
**Marco Santarelli – Expert in Network Analysis, Critical Infrastructures, Big Data and Future Energies. Research Associate for International Research Bodies & Young Critis Award Chair at Lithuanian Energy Institute. Scientific Director – ReS On Network. Scientific Data for Il Messaggero & Media TV