da Eques
Sembra strano il titolo? Non più di tanto. E sì perché, se ci soffermiamo anche solo per un attimo su quel che i tanti che credono indispensabile per l’umanità far sapere il loro pensiero, ovviamente senza che l’umanità” si sia neppure sognata di fargliene richiesta, e in nome della quale troppo spesso parlano, la domanda che ci si deve porre sulla questione della richiesta di autorizzazione a procedere nel confronti del Ministro dell’Interno da parte di un Tribunale è una sola, semplicissima.
È rimasto qualcuno che abbia ancora memoria di cosa sia il senso dello Stato da queste parti?
E sì perché, per lo meno fino a che, qualche decennio fa, la parte politicizzata della magistratura fatta scendere strumentalmente in campo da certa politica per prevalere, non sull’avversario, ma su quello che era ormai divenuto il “nemico” da abbattere, non si è resa conto dello strapotere che aveva ormai acquisito, ancora quel senso c’era, come c’era anche un certo equilibrio tra i poteri dello Stato. La classica ripartizione di quei poteri, giudiziario, esecutivo e giudiziario, era ben delineata e, salvo i sempre presenti fisiologici sconfinamenti, un bilanciamento comunque si manteneva.
Da quando però, per miopi, quanto assolutamente non condivisibili, disegni di certi soggetti, si è usata la parte più disponibile della magistratura ad agire, come una sorta di clava, per finalità, giuste o sbagliate poco conta, assai distanti dalle funzioni che le sono connaturali, qualcosa si è rotto nel sistema, e si è assistito a un vero e proprio impoverimento del diritto. Non compete infatti alla magistratura, come non compete al potere legislativo o a quello esecutivo, quello di ergersi a censore, o nume tutelare dell’etica, ben altre essendo le sue funzioni. Ma soprattutto non le compete assolutamente, per lo meno in un sistema democratico, l’invasione nelle prerogative degli altri poteri.
Così, come è semplicemente abnorme che assai marcatamente politicizzati ambiti di essa, si siano, e più volte, intromessi nel processo formativo di leggi, in realtà cercando di condizionare il Parlamento attraverso messaggi di vera e propria minaccia, anche se veicolati, da associazioni di categoria, alla stregua di collaborativi suggerimenti, nel delicato momento della gestazione di modifiche normative, è del pari abnorme quel che è accaduto oggi, laddove, giustificando l’uscita di campo, su personalissime, quanto discutibilissime interpretazioni normative, si pretende di sottoporre al sindacato giudiziario atti politici di governo, quali, al di là della più sofisticate e dotte disquisizioni, quel che il Governo decise per il caso Diciotti, sono stati.
Quel che penso dovrebbe far riflettere, e seriamente, è che, temo ben pochi si siano resi conto della pericolosità del percorso che si è intrapreso. Scardinare un sistema, violentando i principi fondanti della democrazia, sol perché ci si ritiene in dovere di andare a metter rimedio a politiche che non si condividono, può condurre a ben peggiori risultati. Ma qui sembra che la saggezza del gioco degli scacchi sia del tutto scomparsa. Nessuno sembra più pianificare il proprio agire, cercando di prevedere, non solo le contromosse dell’avversario, ma soprattutto gli effetti che deriveranno da certe iniziative. Calpestare i più elementari principi di non intromissione di un potere su un altro, anche se dovesse davvero esser motivato da illuminati pensieri e obiettivi eticamente encomiabili, può produrre qualsiasi cosa, certo non la tutela di uno Stato di diritto. Il giudice convinto della colpevolezza di un imputato, che in assenza di prove lo condanna, non è un buon giudice, perché la violazione che compie, peggio ancora se intimamente convinto di far “giustizia”, è enormemente più grande di quella di cui deve rispondere chi è assoggettato al suo giudizio.
Se si processa qualcuno perché non ha rispettato le leggi non si può sanzionarlo violandole! Sembra elementare questa considerazione, ma vogliamo andare a verificare quante volte viene rispettata? Meglio di no credo, ben sconfortante sarebbe la risposta. Il senso dello Stato, in poche parole, proprio in questo consiste, nel rispetto delle regole innanzitutto da parte di chi è chiamato a farle rispettare agli altri. Se non si comprende questo, altro che il tanto paventato, a fini meramente intimidatori, Far west. Il Far west c’è quando chi è chiamato all’alto compito di far rispettare agli altri le regole non le rispetta lui!