a cura di Daniele Piccinin
In nessuna parte del mondo è pensabile chiudere il ciclo dei rifiuti senza i termovalorizzatori. In Italia, poi, scontiamo una mancanza di impianti specie al centro sud. A sostenerlo a Ofcs Report è Marco Sperandio, presidente di Rea Dalmine, società del gruppo Greenholding, che gestisce il termovalorizzatore di Dalmine in Lombardia, considerato oggi fra gli impianti di utilizzazione termica dei rifiuti in Europa che garantiscono le emissioni in ambiente più basse, grazie all’utilizzo delle tecnologie più avanzate.
In tutto il mondo i rifiuti sono una risorsa economica in Italia invece un’emergenza quotidiana. Per quale motivo?
“L’Italia sconta, in alcune Regioni, la mancanza di un’efficiente programmazione impiantistica a medio-lungo termine. Se da un lato le Regioni del nord Italia si sono dotate di impianti che garantiscono la chiusura del ciclo di trattamento dei rifiuti urbani, nel centro sud vi è una mancanza di impianti finali per le frazioni non recuperabili. Vi sono poi situazioni, vedi la Sicilia, in cui l’unica soluzione è l’utilizzo massivo di discariche che dovrebbero invece rappresentare, nella gerarchia prevista dalla normativa europea, l’ultima soluzione per la collocazione dei rifiuti urbani”.
In queste settimane il caso del rogo nel Tmb di Roma ha riacceso il dibattito sugli impianti di trattamento e smaltimento rifiuti. Che idea si è fatto sull’episodio della Capitale?
“Gli impianti di trattamento costituiscono solo un “passaggio” intermedio per i rifiuti solidi urbani in quanto si limitano a separare, più o meno efficientemente, le diverse componenti: frazione secca, frazione umida e materiali recuperabili quali vetro e metalli. Per ognuna di queste frazioni sono poi necessari impianti finali che recuperino o smaltiscano questi materiali. Nella Capitale a causa della non elevatissima percentuale di raccolta differenziata vi è una grande produzione di rifiuti solidi indifferenziati che devono essere quindi, in assenza di impianti di termovalorizzazione, lavorati nei TMB e successivamente conferiti in vari impianti a seconda delle diverse frazioni (CDR, secco, umido, metalli). Proprio per questo motivo l’incendio che ha bloccato il funzionamento del TMB di via Salaria sta creando enormi problemi venendo a mancare questa capacità di lavorazione con la conseguente difficoltà nello smaltimento del rifiuto indifferenziato”.
Il caso Roma ha scosso anche il governo, con la Lega che chiede termovalorizzatori in ogni provincia e il M5S che frena. Perché questi impianti sono fondamentali per il ciclo dei rifiuti?
“Gli impianti di termovalorizzazione sono necessari per chiudere il ciclo di quella parte dei rifiuti non differenziabili che andrebbero altrimenti smaltiti in discarica senza poter quindi ottenere alcun recupero energetico. Va considerato il fatto che esiste un limite fisiologico alle percentuali di raccolta differenziata e vi sono comunque materiali non riciclabili senza contare che la lavorazione dei materiali raccolti separatamente, carta e plastica soprattutto, genera a sua volta un’alta percentuale di materiali di scarto, circa il 35%, che deve essere smaltita prevendo almeno un recupero energetico negli impianti di termovalorizzazione”.
La sua azienda gestisce uno degli impianti più all’avanguardia del nostro Paese. In che modo garantite la sicurezza e il controllo delle emissioni del termovalorizzatore di Dalmine?
“La sicurezza delle emissioni viene garantita proprio grazie alle tecnologie innovative utilizzate nel nostro impianto per la depurazione dei fumi della combustione. Da diversi anni la Regione Lombardia ha implementato un sistema di monitoraggio in continuo degli impianti di termovalorizzazione presenti in regione (SME), i dati rilevati dalle centraline installate trasmettono ad ARPA (Agenzia Regionale Protezione Ambiente) istante per istante i valori di una serie di sostanze, valori che nel caso di REA Dalmine sono anche caricati sul sito internet della nostra Società nonché trasmessi su di un monitor installato presso il Comune di Dalmine”.
Alcuni sostengono però che l’energia prodotta sia comunque inferiore a quella necessaria per farli funzionare. E’ così?
“Assolutamente no. Il nostro impianto che tratta circa 150mila tonnellate all’anno cede alla rete elettrica, al netto degli autoconsumi necessari per il funzionamento, circa 100mila MWh di energia elettrica, quantità di energia pari al consumo di circa 110mila persone. L’equivalente dell’energia prodotto è di circa 285mila barili di petrolio risparmiati”.
Stesso discorso per quanto riguarda i famosi “scarti”, ovvero fumi e ceneri prodotte dai termovalorizzatori. Perchè oggi questi impianti sono meno inquinanti di altri?
“Le avanzate tecnologie di trattamento dei fumi consentono di ottenere alti gradi di depurazione che impianti di piccola taglia, come ad esempio le caldaie domestiche, non sono in grado di ottenere. Per quanto riguarda gli scarti la situazione è la seguente: il processo di combustione genera una percentuale tra il 14 ed il 18% di ceneri pesanti che vengono inviate ad impianti che ne effettuano il totale recupero nel settore del cemento e dell’edilizia, viene recuperato circa il 2% di materiali ferrosi e un altro 1-1,5% di ceneri leggere ricche di sali (bicarbonato) vengono inviate anch’esse ad impianti di recupero. Solo quindi una piccolissima frazione di ceneri leggere dalla depurazione dei fumi (circa il 2,5%) va a smaltimento in impianti che ne operano una inertizzazione con leganti (cemento, calce) e successivo conferimento in discariche per rifiuti pericolosi. In sintesi su 100 kg di rifiuti in ingresso solo 1-1,5 kg di materiale va a smaltimento, il resto viene recuperato o come energia elettrica o come materiali”.