a cura di Daniele Piccinin
Mentre in quasi tutto il mondo i rifiuti sono trattati come una risorsa, spesso contribuendo all’erogazione di alcuni servizi primari, fra tutti l’energia, in Italia il dibattito sulla loro gestione sembra interessare la politica solo in campagna elettorale per poi scomparire dall’agenda di governo e riemergere al primo disastro ambientale che si verifica nel nostro Paese.
Una strategia politica “nimby” (not in my back yard) che mette d’accordo i governi di qualunque colore, rossi, neri, gialli o verdi che siano. Ecco perché non deve stupire che il tema dei rifiuti sia improvvisamente tornato al centro delle cronache nazionali, dopo il grave incendio dell’11 dicembre che ha colpito l’impianto di Trattamento Meccanico Biologico (Tmb) di Roma, sito in via Salaria, con gravi emissioni di diossina registrate nelle aree coinvolte.
Le fiamme sui rifiuti di Roma hanno costretto il governo Legastellato ad affrontare il tema della loro gestione e in particolare l’esigenza emersa di valutare nuovi impianti per il loro smaltimento e trattamento. “Occorre il coraggio di dire che serve un termovalorizzatore per ogni provincia perché se produci rifiuti li devi smaltire”, ha detto il vice premier Matteo Salvini. “La Terra dei Fuochi è un disastro legato ai rifiuti industriali provenienti da tutta Italia non da quelli domestici. Quindi gli inceneritori non c’entrano una beneamata ceppa e tra l’altro non sono nel contratto di Governo”, ha risposto per le rime il leader Pentastellato, Luigi Di Maio.
Il rapporto Ispra 2018
Dati alla mano viene però da chiedersi se quella dei rifiuti può tecnicamente definirsi un’emergenza o, piuttosto, un caso di semplice mala gestione pubblica. Secondo il Rapporto Rifiuti Urbani 2018 realizzato dall’Ispra sappiamo infatti che i rifiuti urbani prodotti nel 2017 sono stati gestiti in 644 impianti. Lo smaltimento in discarica, pari a 6,9 milioni di tonnellate, interessa il 23% dei rifiuti urbani prodotti, con una riduzione del 6,8%. Le discariche operative, nel 2017, sono 123, 11 in meno rispetto all’anno precedente.
“Non tutte le Regioni sono dotate delle necessarie infrastrutture di trattamento dei rifiuti – sottolinea Ispra – la scarsità degli impianti fa sì che in molti contesti territoriali si assista ad un trasferimento dei rifiuti raccolti in altre Regioni o all’estero“. Il riciclaggio delle diverse frazioni provenienti dalla raccolta differenziata o dagli impianti di trattamento meccanico biologico dei rifiuti urbani raggiunge, nel suo complesso, il 47% della produzione: il 20% è costituito dal recupero di materia della frazione organica (umido+verde) e oltre il 27% dal recupero delle altre frazioni merceologiche.
In calo anche gli inceneritori: sono due in meno nel 2017, 39 gli impianti operativi (erano 41 l’anno precedente). Nel 2017, i rifiuti urbani inceneriti, comprensivi del Css, della frazione secca e del bioessiccato ottenuti dal trattamento meccanico dei rifiuti urbani stessi, sono quasi 5,3 milioni di tonnellate (-2,5% rispetto al 2016). Il 70% circa dei rifiuti viene trattato al Nord, l’11% al Centro e quasi il 19% al Sud. Va precisato, si legge sempre nel Rapporto, che in Italia tutti gli impianti di incenerimento recuperano energia, elettrica o termica, nel 2017 quasi 4,5 milioni di MWh di energia elettrica e 2 milioni di MWh di energia termica.
Il comparto dei rifiuti è certamente uno dei più delicati e complessi sia per la gestione della raccolta, soprattutto nelle grandi città, che per la fase di separazione e trattamento con esigenze in continua crescita, come dimostra l’aumento degli addetti nel mondo cooperativo, le 644 discariche utilizzate in Italia e l’export di spazzatura che ha raggiunto le 355mila tonnellate con 4 su 10 destinate in Austria e Ungheria.
Termovalorizzatori sì o no?
Inceneritori e termovalorizzatori bruciano lo stesso tipo di rifiuti, quelli solidi urbani (piccoli imballaggi, carta sporca e stoviglie di plastica, ad esempio) e quelli speciali (derivanti da attività produttive di industrie e aziende). Per legge la temperatura di combustione deve essere sopra gli 850 gradi, per evitare la formazione di diossine. Se la temperatura scende, si attivano bruciatori a metano. La vera differenza è che i primi non vengono più costruiti a favore dei secondi che invece in Italia producono energia. Si tratta di una quarantina di impianti in funzione, quasi tutti al Nord. I più moderni forniscono anche acqua ai termosifoni delle abitazioni.
Sostenere che siano a impatto zero è complesso, il vero problema dei termovalorizzatori sono le ceneri e i fumi che producono, ovvero gli scarti. Diversi studi fin qui condotti non hanno tuttavia evidenziato aumenti di patologie nelle aree intorno agli impianti. Tra le regioni più virtuose c’è il caso della Lombardia, con ben 13 termovalorizzatori che bruciano il 10% del totale dei rifiuti prodotti a fronte di una raccolta differenziata pari al 64%. Alcuni di questi impianti sono considerati un punto di riferimento per la termovalorizzazione nel panorama nazionale ed europeo. E’ il caso dell’impianto di proprietà della Rea Dalmine S.p.A. (appartenente al Gruppo Green Holding), ubicato a Dalmine in provincia di Bergamo, costituito da due linee indipendenti in grado di smaltire ognuna fino a 250 tonnellate al giorno di rifiuti e di fornire energia elettrica ad oltre 100mila abitanti. Il livello delle emissioni di sostanze inquinanti di questo impianto è molto al di sotto dei limiti stabiliti dalle normative italiana ed europea. Le emissioni gassose sono monitorate di continuo e trasmesse su un monitor visibile ai cittadini installato da REA Dalmine nell’atrio del Comune.
Gli impianti in Europa
Nel resto d’Europa è noto il caso del termovalorizzatore di Copenaghen sul quale è stata inaugurata una pista da sci, che fornisce luce ad oltre sessantamila abitazioni. Ci sono poi esempi a Parigi, Vienna, in cui sorge l’impianto di Spittelau, noto per essere stato decorato negli anni ’80 dall’artista e architetto ambientalista Friedensreich Hunderwasser e segnalato tra le mete turistiche.
Questi esempi, che pure lasciano aperti tanti quesiti legati alle possibili emissioni inquinanti degli impianti, sono certamente una risposta migliore al vecchio metodo delle discariche, e qualunque governo si trovi a dover affrontare le sfide legate alla sostenibilità e ai cambiamenti climatici difficilmente potrà affrontarle pensando di gestire l’intera produzione di materiali di scarto senza una programmazione lungimirante che guardi anche all’emergenza del presente, che si preoccupi, cioè, di elaborare un piano per Roma e per tutta l’Italia che permetta il corretto smaltimento di ciò che produce senza gravare a dismisura sulle tasse dei cittadini.