a cura di Sara Novello
Per Theresa May l’accordo di uscita con l’Unione Europea é praticamente concluso, risolvendo anche il futuro status di Gibilterra e concordando un meccanismo per eventuali controversie future con la Ue. Ma le feroci critiche da parte della destra Tory continuano e puntano il dito contro il Primo ministro britannico per non aver compiuto alcun progresso, se non aver indicato al summit europeo della scorsa settimana l’aperura a estendere il periodo di transizione post-Brexit. Secondo May invece i progressi compiuti sono evidenti, tra cui il regolamento del divorzio a 39 miliardi di sterline con un periodo di attuazione fino alla fine del 2020 e il riconoscimento dei diritti dei cittadini dell’Ue residenti nel Regno Unito e viceversa.
Ma la questione irlandese resta aperta e preoccupa il Parlamento che si chiede come fare affinché l’Irlanda del Nord non venga separata dalla Gran Bretagna attraverso un confine doganale. Per risolvere tale problematica il Primo ministro ha dichiarato l’estensione del periodo di transizione in cui il Regno Unito rimarrà soggetto all’unione doganale e al mercato unico oltre il dicembre 2020, nel tentativo di raggiungere un accordo di libero scambio che impedirebbe l’uso del backstop.
Dunque, il cosidetto “accordo commerciale Dama” di May é criticato da moltissimi parlamentari, inclusi membri del suo stesso partito. L’ex segretario alla Brexit, David Davis, indicato da alcuni come successore di May, ha scritto nell’edizione domenicale del Mail che “anche il verdetto più caritatevole su Brexit della scorsa settimana a Bruxelles non può definirsi un successo”. Sir Keir Starmer, segretario ombra di Brexit, ha dichiarato che la divisione presente all’interno del governo da’ per scontata la mancanza di fiducia verso May e le sue conclusioni.
In Gran Bretagna i toni si sono fatti più accesi e i dibattiti vanno ben oltre Brexit. Il futuro del Primo ministro May é sempre più incerto. Ad oggi, in Parlamento vi sono 315 deputati conservatori, ma May ha bisogno di ottenere il sostegno di poco più della metà – 158 – per vincere su un voto di sfiducia. E sono in molti a credere che potrebbe non essere in grado di continuare come Primo ministro se più di 100 parlamentari votassero contro di lei.