È in corso a Pristina, capitale del Kosovo, il processo contro una cellula terrorista associata allo Stato islamico composta da sei persone, tra cui due di cittadinanza belga. Il gruppo progettava attacchi contro obiettivi dei cristiani ortodossi serbi, la Kfor, la forza multinazionale di pace impegnata nel territorio kosovaro e, non ultimo, anche in Europa, in particolare in Belgio e Francia. La cellula agiva sotto l’egida e la direzione del Califfato e a stretto contatto con altre cellule operanti in Siria. All’inizio di settembre, Bujar Behrami, alias Abu Musab el Albani, uno dei componenti del commando, è stato a lungo interrogato dagli inquirenti rivelando i particolari della preparazione delle azioni.
Inizialmente, Behrami era entrato in contatto sulla piattaforma Telegram con Abu Ahmed, il responsabile dell’intelligence dello Stato Islamico in Siria e presunto ideatore degli attacchi di Parigi e Bruxelles, il quale lo aveva convinto della necessità di preparare un attacco eclatante con l’utilizzo di armi portatili ed esplosivi. Ma dopo un successivo colloquio con un capo dei miliziani albanesi aderenti all’Isis, si era convenuto, come prima azione, di colpire una squadra di calcio israeliana e i suoi tifosi, durante lo svolgimento di una partita, con l’iniziale uso di un drone e, solo successivamente, di terminare l’azione con operativi armati e pronti al martirio.
L’attività delegata a Berhami dal rappresentante albanese dell’Isis, Lavdrim Muhaxheri che, tramite Abu Ahmed, aveva garantito il finanziamento delle operazioni dopo l’avallo della leadership dell’Isis, era principalmente quella di reclutare soggetti pronti al sacrificio estremo da utilizzare per gli attacchi da condurre con l’uso di giubbetti esplosivi. Ma nel giugno del 2017 un raid condotto da droni statunitensi in territorio siriano neutralizzava il Lavdrim, nel frattempo assunto alla ribalta delle cronache per un video che lo riprendeva mentre decapitava un giovane diffuso sul web.
Nelle mire della cellula kosovara non rientravano unicamente obiettivi balcanici
I progetti del gruppo, in fase di avanzata realizzazione, miravano a colpire anche in Europa, in special modo in Francia e Belgio, con modalità afferenti a quelle studiate per le azioni in Kosovo. Squadre di tre-quattro miliziani avrebbero dovuto condurre attacchi suicidi, armandosi di giubbetti esplosivi, granate e armi automatiche, con le modalità degli attacchi “inghimasi”. Ma nei progetti del gruppo trovava posto anche l’eventuale utilizzo di veleni letali e, più volte, Berhami e gli altri componenti tentarono di procurarsi sostanze quali il Sarin, Tabun, Somat e Clorin, senza però riuscire nell’intento per le difficoltà di accaparramento e custodia.
Fino dal lontano 1999 il Kosovo è considerato come una base fondamentale per l’indottrinamento ed il reclutamento di miliziani islamisti, dapprima dediti alla causa di al Qaeda e, successivamente, a quella dello Stato islamico, considerato come la vera realizzazione del progetto islamista frutto di un’esegesi coranica a dir poco estrema.
In più di un’occasione, anche in Italia, si sono riscontrate presenze di soggetti dediti al proselitismo e al favoreggiamento dell’invio di volontari per la jihad e le indagini hanno fornito un quadro non certo tranquillizzante del fenomeno dell’islamismo di importazione dall’est europeo.
Nella zona balcanica, infatti sono stati individuati numerosi campi di addestramento, tutti compresi nella regione confinaria tra Albania, Kosovo e Macedonia.
Nell’area operano numerose Ong legate alla galassia islamista e, al loro interno, i reclutatori selezionano il materiale umano da avviare agli istruttori, quasi tutti ex membri dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Kla) o provenienti dal fronte mediorientale. La severa selezione impone di avviare i volontari al fronte come truppa da combattimento o di utilizzarli per attacchi suicidi, in base alle caratteristiche soggettive quali il valore dimostrato durante l’addestramento e, soprattutto, la completa dedizione alla causa jihadista.
Sarebbero circa 600 i kosovari, tra cui 40 donne, che combattono nella zona siro-irakena con le milizie di al Baghdadi e molti di questi, con trascorsi europei potrebbero essersi uniti al reparto dell’Isis denominato “Amniyat Al-Kharji”, una brigata di miliziani selezionati in maniera rigorosa creata appositamente al fine di continuare la jihad in Europa. In particolare, i miliziani arruolati nelle fila del Califfato di provenienza kosovara, albanese, macedone o bosniaca, grazie alla loro conoscenza del territorio europeo e della facilità di infiltrazione in Italia seguendo la rotta balcanica, sarebbero stati incaricati dalla leadership del Daesh di formare, nel nostro Paese, alcune cellule operative in grado di entrare in azione in maniera autonoma seguendo le indicazioni e l’addestramento ricevuti in territorio siriano. L’informazione era già stata confermata diversi mesi or sono da un’informativa del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria che aveva ricevuto le informazioni dalla direzione del carcere di Rossano Calabro e ha trovato ulteriori conferme da alcuni progetti di attentati, in particolare quello al Ponte di Rialto a Venezia, scongiurati dall’intervento dell’Intelligence e delle forze di Polizia.