a cura di Yamas e Francesca Musacchio
Betlemme è una città sotto il controllo diretto dell’Autorità palestinese all’interno della zona A, come sancito dagli accordi di Oslo del 1993. Ci accoglie un traffico da metropoli e il giro per le strade cittadine non si rivela un’impresa facile. Anche qui salta agli occhi la netta differenza di manutenzione delle povere abitazioni che si scontra con lo splendore degli edifici che ospitano le varie banche arabo-islamiche operanti in zona. Anche se, francamente, non si capisce dove trovino investitori e risparmiatori.
La nostra guida è un cristiano palestinese che ci illustra, con molte e non richieste cautele, lo svolgimento della presunta placida vita quotidiana nella cittadina. Ai lati della strada principale di Betlemme si susseguono numerose officine ed autorimesse, botteghe di artigiani, negozietti di alimentari. A queste si alternano lussuosi locali di intrattenimento, pasticcerie e addirittura un concessionario di auto sulla cui insegna spiccano i marchi Alfa-Fiat-Lancia.
Le strade che incrociamo sono costellate di immagini dei leader di al Fatah, dell’Olp, altre di “martiri” caduti nell’intifada. Sono numerosi i manifesti di adesione e propaganda del Fronte popolare per la liberazione della Palestina che incitano alla rivolta contro Israele.
Al cospetto del Muro che divide ebrei e palestinesi
A nostra richiesta veniamo portati al cospetto del famoso muro divisorio tra il territorio arabo e quello israeliano. Un muraglione alto circa 15 metri e lungo chilometri, intervallato da torri di osservazione dalle quali vigilano i militari dello Tsahal e del Magav. Il muro è adornato da murales che irridono i leader occidentali, in primis Donald Trump, ma anche da vignette ironiche rivolte all’esercito israeliano. La nostra guida sottolinea l’inutilità del muro divisorio affermando che, comunque, nessuno è intenzionato ad attraversare la frontiera. Sarà, ma qualche dubbio ci assale.
Nella zona della chiesa della Natività il viavai è incessante. Alcuni poliziotti palestinesi vigilano sui gruppi di pellegrini cristiani diretti verso il luogo sacro. Nel piazzale antistante la chiesa, si trovano alcuni edifici governativi dell’Anp che si alternano a palazzi di proprietà del Vaticano. In questa realtà, la convivenza tra cristiani e musulmani è d’obbligo, ma non pare pesare particolarmente a nessuna delle due componenti. I palestinesi infatti, traggono lauti profitti dalle comitive di turisti offrendosi come guide, autisti o tuttofare. Inoltre, alcuni investitori dei Paesi del Golfo, pagando una tassa al governo dell’Anp, hanno completato la costruzione di lussuosi hotel e residence nella zona dove il personale addetto è composto unicamente da arabi-palestinesi. La mancanza di altre adeguate strutture alberghiere, che non siano ostelli e rari hotel gestiti da religiosi cristiani, ne hanno fatto la meta prediletta per pellegrini e turisti.
Sulla strada per Efrat
Sulla strada per Efrat, oltrepassiamo la frontiera ai cui lati si trovano due enormi cartelli sui quali, su sfondo rosso e in tre diverse lingue (arabo, ebraico e inglese), campeggia la scritta “Questa strada conduce all’area “A” sotto il controllo dell’autorità palestinese, l’ingresso ai cittadini israeliani è proibito, pericoloso per le loro vite e contro le leggi israeliane”. Non essendoci alcun controllo doganale, non si capisce come vengano individuati i cittadini israeliani, ma tant’è, vanno sulla fiducia.
Una camera adibita a rifugio è presente in ogni casa
Ritornati a Efrat veniamo invitati a visitare l’abitazione di un colono presso la quale ci attende la sua famiglia, molto numerosa, che ci accoglie in modo caloroso. Consumiamo con loro dolci e bibite. Poi, la nostra guida ci conduce a visitare una delle camere dell’appartamento adibita a rifugio. È fatto obbligo a ogni residente di possederne una. Sono a prova di tutto, dagli attacchi con armi convenzionali a quelli biologici e chimici. Dispongono di impianti di ventilazione autonomi, posti letto, razioni di emergenza, acqua potabile e un gruppo elettrogeno. Tutti i coloni posseggono un apparato ricetrasmittente e rispondono agli allarmi diffusi con sirene. Al momento del segnale devono recarsi al più presto nei rifugi delle proprie abitazioni o in uno di quelli pubblici, costruiti sotto i maggiori poli di attrazione, dall’ospedale, alle scuole, al centro commerciale. Nonostante le precauzioni adottate e le rigide misure di sicurezza alle quali è sottoposta la popolazione della colonia, la famiglia che ci ospita conduce un’esistenza più che normale. Gli adulti lavorano a Gerusalemme, mentre i bambini frequentano le scuole di Efrat dove rimangono per quasi tutta la giornata sotto lo sguardo vigile della sicurezza.
Nell’ambito della comunità di Efrat non abbiamo percepito alcuna forma di radicalismo politico o religioso. Tutti, indistintamente, hanno rapporti con gli arabo-palestinesi con i quali hanno frequentazioni quotidiane di lavoro, amicizia o interessi comuni. Anche qui, così come a Gerusalemme, non abbiamo trovato traccia di quell’odio atavico che molti media occidentali continuano a propinarci come il verbo.
Sebbene tutti siano preparati ad un attacco, nessuno evoca la parola guerra o scontro. La nostra guida parla di qualche rara incursione o del lancio di oggetti e qualche molotov solo sull’autostrada per Gerusalemme che, allo scopo di prevenire questi episodi, è costeggiata da alte mura protettive per quasi tutta la sua lunghezza.
Ebrei e palestinesi fanno la spesa nello stesso supermercato, ma….
Nei pressi di Efrat il nostro amico ci conduce in un supermercato, il Kenyon Harim dove, non senza sorpresa, i coloni fanno la spesa con i vicini arabi. L’ingresso è comunque vigilato da guardie armate e munite di metal detector, memori di un attacco terrorista condotto da un giovane palestinese che, alcuni anni fa, tentò di compiere una strage. Da quel giorno le tensioni si sono placate, pur permanendo uno stato di perenne allerta soprattutto da parte israeliana.
E proprio mentre la situazione sembrava sotto il pieno controllo delle due comunità, domenica 16 settembre, questo clima quasi idilliaco è stato infranto dal gesto di un 17enne palestinese che, nel posteggio antistante il market, ha accoltellato a morte un colono di Efrat. Il giovane, originario del villaggio di Yatta, vicino a Hebron, è stato attinto da colpi d’arma da fuoco esplosi dalla vigilanza e catturato. Il rischio di gesta isolate compiute da lone wolf è dietro l’angolo e sembrano indirizzate ad infrangere il sogno di una convivenza possibile accarezzato da entrambe le comunità, ma scomodo a qualche frangia estremista che opera nei villaggi palestinesi ben distanti dai centri abitati più popolosi e, per questo, più soggetti al controllo della sicurezza della polizia palestinese ed ebraica.