Trovare una casa a Londra per le migliaia di rifugiati siriani che sono arrivati in Gran Bretagna è davvero molto difficile. “Londra è aperta”, ha chiarito il sindaco Saquid Khan. Il problema, infatti, non sarebbe quello dell’accoglienza, ma una reale difficoltà a reperire alloggi a buon mercato. I costi nella City e nelle zone più vicine sono molto alti e nonostante ci siano Ong che offrono il loro aiuto anche economico, per i siriani trovare casa non sembra essere un’impresa così facile.
I siriani reinsediati in Gran Bretagna
La questione è stata affrontata da Middle east eye, il portale di notizie sul Medio Oriente che ha riporta anche i numeri della presenza siriana nel paese. Già l’ex primo ministro David Cameron, infatti, aveva promesso di reinsediare 20.000 rifugiati entro il 2020 attraverso il Vulnerable Syrian Resettlement Program (VPRS). Ma, dati alla mano, fino ad oggi sarebbero stati reinsediati solo 10.538 rifugiati, di cui 490 vivono a Londra.
Affitti troppo alti e carenza di case popolari
Il problema, stando agli attivisti locali, sta nella mancanza di alloggi e degli affitti troppo alti. Il prezzo medio di un appartamento con due camere da letto nella capitale ora ammonta a 1.500 sterline al mese. I rifugiati, dunque, si trovano di fronte a un problema ricorrente per i londinesi: la scarsità di alloggi disponibili e convenienti. Tuttavia, la Ong internazionale Refugees Welcome, aiuta a localizzare gli appartamenti e prepararli per i rifugiati. Il gruppo, gestito interamente da volontari, sta incoraggiando le persone ad affittare i loro appartamenti, con gli affitti pagati dal ministero dell’Interno del Regno Unito. La Gran Bretagna, inoltre, soffre di una grave carenza di case popolari. Secondo i dati di Shelter, oltre 1 milione di famiglie sono bloccate nella lista d’attesa per gli alloggi sociali. Non solo rifugiati quindi, ma anche tantissimi inglesi sotto la soglia di povertà assoluta.
Secondo i dati del Middle East Eye, Camden è il distretto con il più alto numero di rifugiati siriani.
Il sito, inoltre, riporta la testimonianza di Clare Burnett, un’artista londinese e volontaria nel distretto di Hammersmith, a ovest di Londra, che possiede un appartamento nella vicina Kensington affittato a due giovani donne siriane. “Normalmente chiedo circa 380 sterline a settimana per quell’appartamento – ha spiegato – ma a loro chiedo 260 perchè sono sotto il regime di persona vulnerabile, che è l’affitto del Dipartimento della Previdenza Sociale, l’affitto di prestazioni standard”.
Si possono richiedere 8,520 sterline per rifugiato per coprire i costi di reinsediamento dei siriani, compresi alloggio, amministrazione, trasporti e traduzione. Questa cifra diminuisce significativamente di anno in anno e, secondo il Times, si stima che l’assistenza copre solo il 75-80 per cento dei costi totali.
“Ecco perché è stato così difficile per Kensington e Chelsea e alcuni altri quartieri trovare case disponibili, perché le persone normalmente prendono affitti commerciali e non vogliono una grossa riduzione dell’affitto”, ha detto Burnett.
La cittadina di Islington ha accolto fino ad ora 15 famiglie siriane: un totale di 58 persone, tra cui quattro bambini nati nel Regno Unito. D’altra parte, a Westminster, che ha i più alti costi di affitto e un numero crescente di senzatetto, nessun rifugiato è stato ancora reinsediato. La questione, tuttavia, è all’attenzione delle amministrazioni locali e nazionali che stanno cercando una soluzione.
Molti dei rifiugati siriani hanno raccontato di essersi trovati in Gran Bretagna senza sapere dove fossero
Le Ong hanno detto ai siriani di andare in Europa, ma i rifugiati non sapevano esattamente dove e i problemi non sono solo quelli di trovare un alloggio. Dopo che le famiglie arrivano in Inghilterra il problema principale è la lingua e l’adattamento al nuovo ambiente. Chi non parla un inglese fluente non trova lavoro, e non riesce ad integrarsi. Middle East Eye racconta la storia di Aisha, una donna di 30 anni madre di 2 figli e moglie. Insieme alla sua famiglia si sono trasferiti a Londra, dove non conoscevano nessuno e non potevano parlare la lingua. “Il tempo, la cultura, la lingua, tutto è diverso. Avevamo paura di uscire – ha raccontato – Non sapevamo nemmeno come orientarci e aspettavamo che l’ente benefico venisse a portarci via di nuovo”. Secondo Aisha l’unica cosa che Refugee Action (un’associazione benefica che aiutava i rifugiati) ha fatto male è che “all’inizio non ci hanno accompagnato alle lezioni di inglese, ma ci hanno tenuti a casa”. Aisha è desiderosa di tornare in Siria una volta che sarà di nuovo al sicuro.
“Ci piacerebbe vivere di nuovo lì – dice – Ogni singolo momento pensiamo a questo. Se i bambini crescono e il paese diventa sicuro, ci piacerebbe tornare indietro “.