Il dibattito che ha seguito la maxi-sanzione di Google da parte della Commissione europea per violazione della normativa antitrust ha fatto emergere un certo malpancismo da parte dei sostenitori dell’innovazione, secondo l’assunto per cui imbrigliare il mercato digitale con regole, codici e cavilli equivale a soffocarlo, rallentando (se non addirittura frenando) lo sviluppo e la ricerca.
A sostegno di tale tesi, i fautori della libertà tecnologica ricordano come gli Stati Uniti siano stati in grado di sviluppare un vero e proprio «opificio digitale» nella famigerata Silicon Valley (un modello del tutto assente in Europa), fucina di creatività «disruptive» resa possibile – ribattono i detrattori del net-liberismo – anche grazie all’attenuazione delle regole su fisco, concorrenza e privacy, successo figlio di quella concezione per cui le norme e le prescrizioni istituzionali sono considerate di intoppo al cambiamento.
È per questo che il passo tra libertà e monopolio è davvero corto, e cresce sempre più la consapevolezza di come sia necessario un presidio di controllo efficace contro le storture del mercato. Il dibattito si sta sviluppando giorno dopo giorno, rendendo ormai improcrastinabile la definizione di nuove le regole del gioco, ovvero di più moderne e adeguate forme di regolazione responsabile e consapevole, per garantire e sostenere uno sviluppo del mondo dell’innovazione il più possibile condiviso.
In attesa dell’evoluzione del panorama normativo, gli stati dell’Unione europea non rimangono a guardare, e si affidano ai propri ordinamenti interni per porre un freno allo strapotere delle tech companies cercando di ristabilire equità in favore degli operatori economici e dei consumatori.