Alla fine e dopo lungo peregrinare, tra mille perplessità e altrettanti cavilli di prassi, sarà il professor Giuseppe Conte a raccogliere dal Colle il testimone della formazione del prossimo Governo e, con ogni probabilità, succedere a Paolo Gentiloni dimissionario da due mesi. Dopo ben sette consultazioni, due delle quali “appaltate” ai presidenti delle Camere, Casellati e Fico, e a due mesi mezzo dalla notte elettorale, il primo via libera verso l’occupazione delle ormai desolate stanze di Palazzo Chigi è arrivato dal Quirinale con l’incarico pieno (ma con riserva).
Un mezzo, questo utilizzato da Mattarella, ordinario e frequente nella prassi istituzionale, soprattutto nella prima Repubblica. Solo una volta, con un Silvio Berlusconi stravincitore delle elezioni, l’incarico fu assegnato senza riserva. Ci sarà quindi un nuovo periodo di decantazione, una due-tre giorni che si giustificherebbe, agli occhi del Quirinale, con la troppa spavalderia con cui i due partner di maggioranza hanno operato, pubblicamente, in tema di programma e squadra di governo. Due passaggi che, Costituzione alla mano, il Presidente della Repubblica vuole che rimangano esclusiva prerogativa del Presidente del Consiglio al quale, solamente, la legge fondamentale dello Stato riserva l’indicazione dei ministri al Capo dello Stato e l’indirizzo generale delle politiche del governo che per Mattarella non può vedere derubricato come mera esecuzione di un programma e di un Consiglio dei ministri già preconfezionati.
La strada dell’incarico con riserva
La strada dell’incarico con riserva, dunque, nella mente di Mattarella, servirebbe a Conte prima di tutto per ritagliarsi un riconosciuto ruolo pubblico nella formazione del costituendo governo e, allo stesso tempo, togliere finalmente il pallino, almeno sulla carta, dalle mani dei due partiti di maggioranza. Finora, infatti, e a più riprese, Mattarella ha escluso di prendere in considerazione preventiva i profili dei probabili ministri, un “esame” che di solito si sostiene tra il Capo dello Stato e il Presidente incaricato una volta sciolta la riserva e non certo con i leader della maggioranza e ben prima di questo passaggio. Sottigliezze, forse, ma che al Colle hanno tenuto a rimarcare quasi quotidianamente, ricordando la prerogativa presidenziale che vede la nomina dei ministri come esclusiva competenza del Presidente della Repubblica.
La lotta, quindi, sui profili dei ministri più discussi, è solo rinviata solo a quando e solo se Conte tornerà al Colle per sciogliere la riserva. Sarà in quella sede che il confronto tra Mattarella e Conte scenderà nel dettaglio per la trattativa sui papabili, alcuni già palesemente indicati dai partiti di maggioranza. La storia di questi incontri parla chiaro: quando Silvio Berlusconi entrò da Scalfaro con Cesare Previti ministro della Giustizia, questi ne uscì ministro della Difesa. O quando Matteo Renzi si presentò da Napolitano con Quartapelle e Gratteri, rispettivamente agli Esteri e alla Giustizia, ma alla fine, a spuntarla, furono Federica Mogherini e Andrea Orlando. Passaggi storici che dimostrano come nulla, nemmeno alle battute finali, sia scontato. Mentre gli ultimi rumors confermano l’indicazione da parte della Lega di Paolo Savona, forse il profilo più discusso, non è peregrina l’idea che tra pochi giorni, quando Conte salirà al Quirinale con la lista dei nomi, si aprirà una nuova fase di confronto e di veti incrociati. La battaglia per il primo, storico, esecutivo MoVimento 5 Stelle e Lega è, dunque, ancora aperta.