I siti con impronte umane più antichi di 300.000 anni si contano nel mondo sulle dita di una sola mano e anche per questo la recente scoperta in Etiopia di Gombore II aumenta in modo significativo le nostre conoscenze.
La scoperta storica
Si tratta di un livello improntato, perfettamente datato, perché direttamente coperto da un tufo vulcanico di 700.000 anni fa, di Gombore II sito che è parte di Melka Kunture, una località dell’alto bacino del fiume Awash, a 2.000 metri sul livello del mare. Qui da anni si svolgono le campagne di ricerca di uno dei grandi scavi di ateneo, finanziato da Sapienza e dal ministero Affari Esteri.
La zona scavata corrisponde ad un’area intensamente frequentata, ai margini di una piccola pozza d’acqua in cui probabilmente si abbeveravano, oltre agli ominidi, anche animali prossimi agli attuali gnu e gazzelle, nonché uccellini, equidi e suidi, anche gli ippopotami hanno lasciato tracce dei loro passaggi.
Le impronte delle varie specie si intersecano tra di loro, e si sovrappongono a tratti a quelle degli esseri umani, individui in parte adulti e in parte di 1, 2 e 3 anni. In particolare uno di questi bambini in tenera età propriamente non camminava, ma era in piedi e si dondolava: la sua è l’impronta di un piede che calpesta ripetutamente il suolo, rimanendo appoggiato sui talloni. Ha quindi lasciato impressa una serie di piccole dita (più di cinque) in parte sovrapposte dalla ripetizione del movimento.
“È stata un’emozione molto intensa” spiega Flavio Altamura, il giovane il giovane dottore di ricerca, prima firma dell’articolo appena uscito sugli Scientific Reports di Nature, a cui si deve la scoperta a cui si deve la scoperta delle orme dei bambini.
“A Gombore II-2 abbiamo quanto possa esistere di più simile ad una foto di vita preistorica”. Si può quasi dire che “qui abbiamo, 700.000 anni fa, i primi passi di un bambino, mentre il resto del gruppo ed altri piccoli si dedicavano alle attività quotidiane”.
La conservazione del sito
Il sito infatti conserva traccia di una serie completa di attività: scheggiatura della pietra (ossidiana e altre rocce vulcaniche) con la produzione di strumenti litici, e macellazione della carne di più ippopotami.
C’erano dei carnivori, ma sono venuti solo dopo a cibarsi dei resti lasciati dagli ominidi. Infatti, i morsi dei carnivori sulle ossa si sovrappongono alle tracce lasciate precedentemente dagli strumenti di pietra che avevano tagliato la carne. Quindi il gruppo umano era in pieno controllo dell’ambiente.
“Gombore II-2 è importante non solo perché sono rari i siti con impronte umane, ma perché per la prima volta non abbiamo un semplice percorso nel paesaggio, come a Laetoli, per esempio, ma invece un sito archeologico in cui sono documentate le attività quotidiane nel loro insieme” spiega Margherita Mussi, coordinatrice dello scavo .
“Inoltre- continua Mussi- per la prima volta ci sono impronte di bambini molto piccoli, che indicano la loro presenza costante anche quando gli adulti scheggiavano e macellavano. Sappiamo anche di che specie di ominide si tratta, perché resti fossili di Homo heidelbergensis l’antenato comune nostro e dei Neandertaliani sono stati trovati a breve distanza, ma in un livello archeologico più antico, risalente a 850.000 anni fa”.
La ricerca, coordinata da Margherita Mussi del Dipartimento di Scienze dell’antichità è frutto degli scavi condotti da laureandi e dottorandi del Dipartimento stesso. In particolare, la scoperta è opera del primo firmatario dell’articolo appena pubblicato sull’argomento, Flavio Altamura, che su questa ha svolto il suo progetto di dottorato in Archeologia. Lo studio delle impronte è frutto di una cooperazione scientifica a livello nazionale e internazionale.