La Relazione annuale dei servizi segreti, presentata oggi al Parlamento, conferma nei contenuti una realtà sotto gli occhi di tutti, ovvero che il pericolo viene da fuori.
I dati comunicati, corredati da approfondite analisi delle nostre agenzie di intelligence, nella loro interezza pongono in risalto come l’immigrazione selvaggia di clandestini nel nostro Paese abbia provocato un significativo aumento del tasso di criminalità, sia in termini di reati comuni sia, soprattutto, in riferimento alla minaccia terroristica.
Gli “sbarchi occulti” ai quali la Relazione dedica ampio spazio, altro non sono che gli arrivi clandestini dalla Tunisia e dalla Libia ai quali questa testata ha dato ampio spazio, in tempi non sospetti, e trattati da altri magazine di rilevanza nazionale, come fake news o, comunque, come problematiche di scarso rilievo.
I dati di fatto posti in risalto dalla relazione dell’intelligence nostrana, riguardano la gemmazione delle cellule terroristiche in Occidente, fattore di primaria importanza se messo in relazione, anche in questo caso, con il flusso di clandestini “sedicenti” che quotidianamente continuano a sbarcare sulle nostre coste, con il risultato di infettare pericolosamente il Continente di soggetti non solo indesiderabili, ma certamente pericolosi per la sicurezza nazionale.
Il radicamento del fenomeno del terrorismo islamista in Libia e le sue ramificazioni logistiche in Tunisia ed Egitto, avendone percepito l’ampiezza del fenomeno, sono da mesi oggetto di analisi a livello internazionale, rappresentando queste, un rischio nello specifico, sì nell’area del Mediterraneo, ma con importanti infiltrazioni anche a livello globale. La gemmazione delle cellule spontanee, collegata al persistere della minaccia jihadista, quanto mai attuale, non hanno subito un particolare calo in prossimità della sconfitta militare patita dall’autoproclamato califfato in Siria ed Iraq.
Il dualismo crescente tra il Daesh e la rinascente al Qaeda, è una nuova realtà con la quale occorre confrontarsi, considerando il rischio, anche qui, conclamato, che questa sorta di confronto interno alle due grandi organizzazioni terroristiche sortisca un effetto emulazionistico tra le frange di islamisti, anche d’importazione, che si trovano nel nostro Paese.
Da considerare anche il perdurare delle presenze di veterani della jihad e di predicatori che abbiamo segnalato in analisi precedenti. Contro questi soggetti, onnipresenti anche nelle nostre realtà urbane, a poco servono i mezzi tecnologici all’avanguardia utilizzati, forse a sproposito dalle varie intelligence. Le risorse umane, le cosiddette Humint, sono, probabilmente, le armi più idonee per confrontarsi con una realtà tristemente in crescita e con la quale il dato certo è quello di un aumento esponenziale di azioni non necessariamente legate a specifiche direttive dei network jihadisti, ma semplicemente frutto della mancanza di una reale volontà di integrazione nel tessuto sociale dell’Occidente.