Il collasso delle principali roccaforti del Califfato e il fallimento della campagna mediatica “natalizia” dell’Isis, tesa a stimolare attacchi in Occidente in prossimità delle celebrazioni religiose, se da un lato hanno provocato una crisi di identità negli adepti di al Baghdadi & soci, dall’altro ha fatto crescere vertiginosamente le adesioni all’altro network del terrore islamista, la nuova al-Qaeda di Hamza bin Laden.
Già dalla fine dell’estate scorsa al Qaeda aveva iniziato a reclutare i transfughi dello sconfitto Daesh, soprattutto nelle zone del Sahel africano dove l’impronta qaedista non ha mai perso il suo sinistro fascino tra gli jihadisti. Prova ne sono gli attacchi perpetrati in Niger contro le forze americane e i raid compiuti da gruppi consociati in Mozambico e Mali.
Ma è il Continente asiatico il vero “ufficio di reclutamento” di al Qaeda, dove è più forte l’attrazione esercitata dall’organizzazione che fu di Oussama bin Laden, ora completamente passata nelle mani del figlio Hamza. In Pakistan, a Kandhahar, dove si trovano i numerosi campi di addestramento dei talebani filo qaedisti, le immagini dei mujaheddin in addestramento sono state postate sui social network e su website collegati proprio al movimento degli studenti coranici, il tutto in chiave di proselitismo e reclutamento di neofiti.
In Afghanistan la situazione è sotto gli occhi di tutti. I talebani e l’Isis stanno combattendo in parallelo una guerra contro le forze governative e la presenza militare occidentale in una progressiva escalation della potenza di fuoco di entrambi, impegnati in una gara quotidianamente immortalata dalle immagini e dai filmati che vengono immediatamente diffusi su canali mediatici e, ovviamente, sul web.
Fattore primario di preoccupazione a fronte del panorama descritto, è rappresentato dalla capillarità della presenza di aderenti o fiancheggiatori di al Qaeda in Occidente, personaggi che hanno pienamente recepito il credo jihadista predicato dal defunto Oussama, riformato da Aymen al Zawahiri e recepito, attualizzandolo, da Hamza bin Laden.
Quella che possiamo definire la “vecchia guardia”, costituita dai reduci della guerra russo-afgana degli anni ’80, ormai oltrepassata abbondantemente la soglia dei 50 anni, rappresenta lo zoccolo duro del credo jihadista e anti occidentale. Divenuti delle star all’interno del movimento, sono loro a dettare agli “iniziati” i dogmi che costituiscono la base dell’ideologia che dovrà guidare le loro future azioni.
Personaggi noti alle cronache, soprattutto del nostro Paese, che pur essendo riusciti a sfuggire alle maglie della giustizia, hanno consolidato la loro rete in Italia, con basi nelle maggiori metropoli e la tendenza a spostare le attività illecite nelle province più remote della Penisola, grazie alle loro conoscenze pregresse e al radicamento della struttura sul territorio nazionale che, nel corso degli anni, sebbene intaccata dalle diverse operazioni di polizia condotte, ha continuato nella sua attività soprattutto nell’ambito della logistica.
Altro fattore che determina criticità è quello relativo alle alleanze fugaci tra i vari gruppi, con la tendenza a favorire, in ogni modo, le attività delle varie cellule a prescindere dalla loro connotazione, siano queste aderenti all’Isis o ad al-Qaeda. Il senso di appartenenza al “gruppo” è un dato reale sul quale è necessario tenere alta l’attenzione. Questi si configura sia in chiave eversiva, con lo jihadismo, sia anche in chiave etnico-religiosa, quando il gruppo si sente attaccato da operazioni di Polizia piuttosto che da iniziative politiche o religiose. Un esempio lampante è rappresentato dalle banlieue francesi, dal quartiere Molembeek in Belgio, ma con realtà diffuse anche in Italia, nelle zone di piazza Larga al mercato di Napoli, di Roma est o dei quartieri Dora e Porta Palazzo di Torino. Zone quasi “franche” nelle quali è difficile riportare uno stato di legalità poiché ci si scontra con una realtà di chiusura completamente avulsa ad ogni tentativo di integrazione.
La ”riconquista” del controllo del territorio, soprattutto nelle zone urbane, è la chiave di volta per una reale politica di prevenzione del fenomeno jihadista e della diffusione dei pensieri distorti ad esso connessi, così come l’emanazione di leggi che non consentano di creare luoghi di ritrovo esclusivi mimetizzati in garage o scantinati, in realtà dedicati al proselitismo e al favoreggiamento reale di soggetti connessi con il movimento islamista in transito nel nostro Paese o qui inviati per incarichi loro delegati e connessi con eventuali azioni da perpetrare in Occidente.
E se in chiave preventiva l’annunciata creazione di task forces dedicate al cybercrime e l’assunzione di specialisti informatici è sicuramente un antidoto contro la diffusione mediatica del jihad – pensiero, occorre non trascurare un ritorno alla Humint, la base di ogni investigazione, basata sulla presenza sul territorio di agenti , non necessariamente “undercover”, ma immersi nelle realtà da monitorare e che possano fornire i dati necessari all’aggiornamento costante delle informazioni da analizzare, successivamente, anche con l’ausilio dello strumento informatico. Diversamente assisteremo ad un continuo interscambio di informazioni già note a scapito di una reale attualizzazione dei dati relativi ai fenomeni da affrontare.